Il nuovo Senato e la fine del bicameralismo paritario

Giorgio Grasso, docente di diritto pubblico all'Insubria, commenta il testo della riforma costituzionale sulla fine del bicameralismo paritario

giorgio grasso

Il commento di Giorgio Grasso (foto) sulla riforma costituzionale riguardante il nuovo senato. Grasso è professore associato confermato di Istituzioni di diritto pubblico dell’Università dell’Insubria – dipartimento di diritto, economia e culture, direttore del Centro di ricerca su Federalismo e autonomie locali e direttore della Collana di studi “Sovranità, federalismo, diritti”.

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Uno dei passaggi fondamentali del testo di riforma costituzionale riguarda il superamento del bicameralismo paritario e la nuova configurazione del Senato della Repubblica.
La legge di revisione sostituisce all’attuale Senato, composto da 315 senatori eletti direttamente dal popolo, un nuovo Senato costituito da 95 senatori, eletti, con metodo proporzionale, dai Consigli regionali e dai Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano fra i rispettivi consiglieri regionali e fra i sindaci dei Comuni dei corrispondenti territori. A questi 95 senatori, 74 consiglieri-senatori e 21 sindaci-senatori, si potranno aggiungere 5 senatori nominati dal Presidente della Repubblica, non più a vita ma per la durata di sette anni. Questa composizione del Senato, in parte ispirata al Bundesrat austriaco, potrebbe determinare, in virtù delle modalità di designazione dei suoi membri, una mera replica in tale organo delle appartenenze politico-partitiche nazionali, proprie della Camera dei deputati, piuttosto che, come vorrebbe la riforma, un’effettiva rappresentanza delle istituzioni territoriali.

Il Senato viene escluso dal rapporto di fiducia con il Governo, elemento cruciale della forma di governo italiana; soltanto la Camera, infatti, conserva la titolarità del voto di fiducia con l’Esecutivo e quindi la natura di camera autenticamente politica. Con tale innovazione, la forma di governo resta ovviamente di tipo parlamentare, ma al contempo si delinea un sensibile rafforzamento del Governo, all’interno delle dinamiche politiche dei rapporti con il Parlamento e del procedimento di formazione delle leggi; il Governo, tra l’altro, avrà la possibilità di far iscrivere, prioritariamente all’ordine del giorno della Camera, qualsiasi disegno di legge ritenuto essenziale per l’attuazione del suo programma e di farlo votare definitivamente entro settanta giorni. Il Governo, ancora, avrà alla Camera una maggioranza solidissima, grazie alla legge elettorale chiamata “Italicum”, basata su un premio di maggioranza che, se appare sufficientemente ragionevole, nel bilanciamento tra le esigenze della governabilità e quelle della rappresentanza, nel momento in cui assegna 340 deputati su 630 alla lista che ottenga il 40 per cento dei voti, risulta invece del tutto spropositato, nel momento in cui si applica anche al turno di ballottaggio tra le due liste più votate, senza fissare alcuna soglia che impedisca di dare la guida del Paese anche una ridotta minoranza. Su tale legge, che non sarà peraltro oggetto del referendum del 4 dicembre, pesano, del resto, alcune questioni di legittimità costituzionale, su cui la Corte costituzionale dovrà pronunciarsi.

L’attuale bicameralismo paritario, che riconosce alla Camera e al Senato lo svolgimento di identiche funzioni, viene superato anche dalle modifiche concernenti la funzione legislativa. Oggi per approvare una legge è richiesto che le due Camere siano perfettamente d’accordo sul medesimo testo e basta che una delle due cambi anche di una sola parola il testo votato dall’altra che il testo deve ritornare a quella Camera, per essere riesaminato e votato. La riforma mantenendo, per un circoscritto elenco di materie – tra cui le leggi di revisione costituzionale – un procedimento di approvazione bicamerale, come quello odierno, assegna alla Camera l’approvazione di tutte le altre leggi in via definitiva, così che eventuali proposte di modifica da parte del Senato possono sempre essere respinte.

La fine del bicameralismo paritario, auspicata da almeno trent’anni in tutti i tentativi di riforma costituzionale, potrebbe favorire quello snellimento del procedimento legislativo che, insieme alla fragilità del sistema politico-partitico, ha contribuito a complicare il funzionamento della forma di governo.
Tuttavia il nuovo testo, proprio su questo punto, lascia aperte alcune serie questioni interpretative, che solo in via di prassi e nelle concrete misure di attuazione potranno essere compiutamente definite.

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Pubblicato il 28 Novembre 2016
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