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A proposito di fondi europei e politica tedesca

Europa
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22 Maggio 2020

Egregio Direttore,

era da poco passato il 2011 ed un vero  e proprio plotone d’esecuzione, al servizio della grande finanza  europea , aveva sparato  proiettili allo spread su la nostra economia , dei veri e propri stregoni dell’economia si accapigliavano disegnando scenari  mortiferi, mentre i burattini guidavano con un filo diretto quasi tutti i partiti presenti nell’arco parlamentare, sapendo che in quel momento una vera e propria truffa a proposito del “ vincolo di bilancio “ veniva consumata ai danni  dell’economia nazionale .

Ma come s’arrivati  a quella situazione? Facciamo un passo indietro di qualche anno, indispensabile, per capire la genesi dell’attuale situazione  odierna.

La crescita economica tedesca fra il 2000 e il 2003 era stata nulla mentre la disoccupazione cresceva. Nel primo decennio dell’euro (1999-2008) il debito pubblico tedesco è aumentato dal 61% al 67% del Pil al contrario di quello di molti Pigs, Italia compresa, il cui debito nello stesso periodo scendeva dal 113% al 106% del Pil questo perché dal 2000 al 2005,si noti bene, prima dello scoppio della crisi del 2007 la spesa pubblica tedesca è aumentata di circa 120 miliardi di euro, una cifra che fu allocata per circa 2/3 (90 miliardi di euro complessivi) in sussidi alle imprese e in politiche attive per il mercato del lavoro. Le spese per l’istruzione invece aumentarono di soli 8 miliardi e quelle per l’edilizia popolare di solo 3 miliardi.
In pratica la Germania che per 4 anni di seguito sforò la regola del 3% nel rapporto deficit/pil aveva finanziato a deficit le proprie imprese in aperta violazione del Trattato di Maastricht spendendo soldi pubblici per rendersi competitiva con le scorrette riforme Hartz – che quindi vanno inquadrate come il classico aiuto di Stato vietato dai trattati – che porteranno ad un abbattimento del costo del lavoro tedesco, a colpi di precarietà con la flexicurity e i mini job, che determinarono un declino dei salari nominali e reali tedeschi che scesero fra il 2003 e il 2009 di circa il 6%.
Una svalutazione reale finanziata con sussidi diretti e indiretti al sistema produttivo tedesco. Queste azioni di vero e proprio dumping sociale avviate in Germania furono decise unilateralmente,senza consultare “i fratelli europei” violando palesemente l’articolo 119 del Trattato di Funzionamento dell’UE (TFUE).

Era chiaro da tempo che  la Germania giocava nelle acque torbide e ciò  s’era già capito quando  l’ex Ministro delle finanze greco Nicos Christodoulakis denunciò a suo tempo che il Governo tedesco non aveva incluso gli ospedali nel settore pubblico falsando quindi i suoi conti dell’entrata nell’euro. Visto che il lupo perde il pelo ma non il vizio, la Germania non ha mai smesso di finanziare le sue imprese in violazione dei trattati europei.
In pochi sanno – dato che i media , veri e propri apparati di supporto ideologico al sistema, e personale politico presente nell’attuale parlamento  tendono a glissare su questo argomento – che la banca pubblica tedesca creata nel dopoguerra dagli alleati per gestire i fondi del piano Marshall è diventata oggi il più importante strumento di politica industriale del paese ed una delle più grandi e potenti banche del mondo la Kreditanstalt fuer Wiederaufbau, (KfW) cioè Istituto di credito per la ricostruzione.
La KfW ha da decenni il ruolo di motore e finanziatore dello sviluppo, ossia quel ruolo che i falchi di Berlino e di tutta l’Eurozona non vogliono attribuire alla Banca Centrale Europea.
E, a questo punto la domanda è d’obbligo , come mai a trarne vantaggio è stato   solo sistema tedesco? Il rating di questa banca è ottimo, pari a quello dei Bund tedeschi, per cui alla KfW non è difficile approvvigionarsi a tassi bassissimi quasi esclusivamente sui mercati mondiali dove negli ultimi anni ha realizzato in media emissioni per circa 80 miliardi di euro come riportato in un articolo di Repubblica del 11 Febbraio 2013 dal titolo “così funziona il motore della Germania”.

La KfW appartiene per l’80% alla Repubblica federale e al 20% ai Lander (ossia i 16 stati federati della Germania, sempre soggetti pubblici) e svolge molti compiti di finanziamento del settore pubblico, non solo finanziando le piccole-medie imprese, ma rendendosi artefice di salvataggi di aziende e banche come nel caso della Ikb collassata a causa dei mutui subprime.  E, mentre in altri paese europei di salvataggi nemmeno l’ombra, a Berlino  si continua a far passare come interventi non pubblici, a dispetto della proprietà al 100% pubblica dell’istituto, e sostenendo dei costi che restano al di fuori del perimetro del bilancio federale e che quindi non figurano  furbescamente nel debito pubblico tedesco.
Compiti e operazioni che, invece, in altri Paesi figurerebbero nei conti statali incidendo nel rapporto debito/pil in maniera considerevole, infatti, conteggiando le spese di questa che può essere definita la Cassa depositi e prestiti tedesca, la Germania sfiorerebbe il 100% nel rapporto deficit/Pil come ha fatto notare  non molto tempo  fa un noto economista l’economista  quando così spiegava :
“questa operazione è consentita dai criteri contabili Esa95, che escludono dal computo del debito pubblico quello delle società pubbliche che coprono i propri costi per oltre il 50% con ricavi di mercato. La KfW ( Kreditanstalt fur wienderaufbau , Istituto di Credito per la Ricostruzione, costituito nel 1948), rientra in questo criterio, ma ciò non toglie che se qualcosa le andasse storto, sarebbe il governo federale a garantire le sue obbligazioni, esattamente come gli altri Bund.”

Per i tedeschi , a questo punto, possiamo applicare un detto nostrano  “ fatta la legge, trovato l’inganno” in quanto è visibile  come  i tedeschi hanno trovato il modo per aggirare le norme, resta il fatto che si tratta di operazioni  volte a deformare  i conti, se non addirittura praticare delle  vere e proprie  falsificazioni. Questo, ovviamente mette in discussione quell’immagine , ormai diventata luogo comune, dell’Italia definita  paese spendaccione, che vive al di sopra delle proprie possibilità, nei confronti della Germania definito, invece, “paese avveduto”  sempre attento alla propria spesa, ligio nel  tenere i conti in ordine, infatti, se andiamo a vedere qualche grafico ufficiale ci rendiamo conto che dal secondo trimestre del 2007, ossia quando è ufficialmente scoppiata la crisi dei subprime e delle banche che negli anni successivi hanno chiesto aiuto agli Stati, facendo quindi incrementare il debito pubblico che nell’Eurozona è passato dal 60 all’80%, l’Italia è stato il paese che ha visto crescere meno di tutti, nell’area euro, il debito pubblico nominale (quello che comprende anche il tasso di inflazione).
Dalla metà del 2007 a metà 2013, ha avuto un incremento del 27%. Nello stesso periodo il debito pubblico della Germania dove, come abbiamo visto, non viene conteggiata l’ingente quota della KfW ha avuto, invece, un incremento del 34%. Questo nonostante negli stessi anni la Germania abbia generato un’inflazione inferiore di cinque punti rispetto all’Italia e abbia pagato tassi sul debito molto più bassi rispetto al nostro paese (da qui lo spread).
Invero, quando in Italia  si parla del rapporto debito/pil tutta l’attenzione viene incentrata sul debito come se fosse quella la chiave di volta ignorando invece che se il debito sarà ridotto ma il Pil continuerà a perdere colpi il parametro debito/Pil continuerà a peggiorare, in un preoccupante circolo vizioso.
Ma perché il nostro pil e le nostre esportazioni non crescono? Ancor una volta bisogna esaminare il ruolo scorretto della Germania.

Per cui  sa veramente di presa in giro il panegirico tedesco volto a redarguire gli altri paesi di rispettare i parametri europei, quando l’economia di tale paese  ha mantenuto un ampio surplus di conto corrente durante tutta la crisi finanziaria dell’area dell’euro, eccedendo la soglia [del 6%] ogni anno a partire dal 2007.
Significativo, in questo senso risulta  il  dato del 2012, dove  il surplus nominale di conto corrente della Germania era maggiore di quello della Cina, ignorando ogni raccomandazione a ridurlo e a stimolare lo sviluppo della domanda interna, per contribuire a portare gli altri paesi fuori dalla crisi. Inaccettabile è che la critica a tale operato sia arrivata dal Governo degli Usa e da ambienti di ricerca e non dalla Commissione Europea sempre pronta a bacchettare il nostro paese, dimostrando palesemente come queste procedure seguano una ingiustificata logica asimmetrica e totalmente arbitraria.

Dunque la Germania non ha fatto altro che sfruttare a danno di altri paesi gli enormi vantaggi avuti dalla moneta unica, una moneta troppo forte per i paesi come l’Italia che hanno quindi perso competitività nei confronti della Germania che invece ha giovato anche del regime di cambi fissi evitando che proprio il tasso di cambio riflettesse il suo ampio surplus considerato un freno per la ripresa dei paesi dell’Eurozona, che infatti, fronteggiano un corrispondente deficit commerciale.
E la Germania non paga  di tutto ciò ha aggiunto la  classica ciliegia sulla torta , si è adoperata affinché  i paesi in crisi dell’area euro non potessero ricevere neanche gli aiuti dalla Banca Centrale provando a bloccare con un ricorso il piano degli Omt ossia l’acquisto straordinario da parte della BCE di titoli di stato dei paesi in difficoltà definendola un’operazione che va oltre il mandato di politica monetaria della Banca centrale europea.

La Corte Costituzionale tedesca ha fatto però un passo indietro in questo senso quando la Germania codardamente si è resa conto che senza aiuti a questi paesi, sarebbe saltato l’euro ed ha quindi deciso di demandare la Corte Europea di giustizia sull’interpretazione del piano Omt (Piano di acquisti di titoli sul mercato secondario)  da parte della Bce per lasciare in pratica che fosse l’Europa a giudicare se stessa. Questo la dice lunga su quanto la Germania tema la distruzione dell’euro e quanto sarebbe disposta ad ogni tipo di concessione qualora i nostri governanti riuscissero davvero a dimostrare con fermezza la volontà di uscire dalla moneta unica.

Questo palese piano di dominio della Germania con la complicità della nostra classe politica trova evidenza nel fatto che i maggiori acquirenti di aziende italiane, indebolite dalla recessione e dal credit crunch sono proprio le imprese tedesche, che al contrario di quelle nostrane  nuotano nella liquidità per le ragioni che abbiamo ampiamente spiegato.
Come ha riportato il Financial Times, “sono ben 23 le Pmi italiane passate in mani tedesche nel 2013, dopo le 20 acquisizioni registrate nel 2012. E quasi sempre si tratta di gioiellini con conseguente perdita di posti di lavoro in Italia e l’addio definitivo a pezzi strategici della struttura industriale italiana. Con pesanti conseguenze, nel lungo termine, per il nostro Paese”. Come testimoniato da un articolo del Sole 24 Ore dal titolo“ così la Germania sta facendo incetta delle migliori piccole e medie imprese (Pmi) italiane a prezzi di saldo”.

La Bundesbank elude il divieto di acquisto di titoli di Stato sul mercato primario come dimostrato da diversi economisti e spiegato nell’articolo dal titolo “ l’eccezione tedesca nel collocamento dei titoli si stato”.
A questo  punto chiedersi  le ragioni di una siffatta Unione Europea  è quasi un ‘obbligo , così com’è un obbligo  ai diversi governi  europei  un radicale cambiamento , ed il primo è quello volto a sospendere, per esempio, i vincoli del fiscal compact invitando anche il Governo italiano a spendere a deficit oltre il limite del 3% per investimenti e lavoro, fino al raggiungimento, almeno, della soglia media del rapporto deficit/pil dei paesi europei (oltre il 4%) in modo da avere liquidità immediatamente disponibile per uscire dall’emergenza in attesa di rendere possibile anche la rescissione di tali trattati compresa  l’uscita dalla moneta unica; la sospensione del   patto di stabilità interno agli enti locali invitandoli a spendere da subito per la popolazione i fondi bloccati a causa dei vincoli del patto stesso.

Il ritorno sotto il Ministero del Tesoro della Banca d’Italia, la fine della conduzione privatistica di quest’ultima, l’istituzione di un centro finanziario pubblico  atto a  finanziare imprese pubbliche e private , dietro un controllo pubblico, per rimettere seriamente all’ordine del giorno  un piano di ripresa economica del paese, che così si riassume nel nostro slogan “ Più stato meno Mercato”.

Cosimo Cerardi –  Pci Varese

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