Bossi: da Mangiafuoco a venditore di tappeti
Al bando l’ipocrisia. Finalmente qualcuno si riprende il diritto di scrivere quello che pensa di Bossi. Così il giorno dopo le dimissioni del senatur da ministro e la sua scelta di lasciare anche il Parlamento nazionale per il seggio di Strasburgo, Repubblica dedica al leader del Carroccio un box in prima e un’intera pagina a firma di Francesco Merlo. Il giornalista chiude così il suo lungo pezzo: “Entrato in scena come un Mangiafuoco, Bossi sta uscendo come una Cenerentola, un povero diavolo che cerca di vendere la propria malattia come l’ultimo dei suoi tappeti”. La “parabola di un Gianburrasca nel Palazzo” è in realtà un attacco frontale a Bossi. Un attacco senza sconti, che può essere condiviso o meno, ma ancora una volta figlio di un livore e di un pressappochismo che esaspera anche chi come me non solo non ha mai votato Lega, ma non ha mai nascosto la propria ostilità verso questo movimento.
Merlo afferma che “non sorprende che Bossi, gran maestro pataccaro anche da impedito, voglia credere di avere optato per il Parlamento di Strasburgo, non come si sceglie una clinica o una casa di riposo, ma per punire Roma ladrona”. E continua “Il malessere fisico di un uomo, per giunta marginale culturalmente, politicamente e geograficamente, continuerà ad identificarsi con al politica del paese, sarà il paravento di ambizioni inconfessabili, di inadeguatezze, mediocrità, di conflitti di interesse irrisolti, di miopia istituzionale e di beghe partitocratriche”. La tesi centrale di Merlo “è che Bossi ce l’ha a morte con tutti quelli che ritiene responsabili della sua povertà, materiale e culturale (…) diventa razzista per farsi notare, come elemento della sua scapigliatura. E diventa razzista perché, come tutti quelli che provano a fare mille cose, in realtà non aveva nulla da fare. Diventa razzista perché è disorientato”. Il professor Miglio sarà quindi il colpevole di aver dato “legittimazione dotta alle corbellerie” e il Merlo continua spiegando anche le ragioni del successo elettorale. “Bossi ha consenso politico, intercetta tangentopoli (…) è la versione incolta e settentrionale del moralismo anticapitalista di Leoluca Orlando e della sua Rete.
Lasciamo a Merlo le interpretazioni psicoanalitiche sull’uomo Bossi. Gli concediamo anche la possibilità di continuare quella “sana”tradizione di storpiare luoghi e situazioni (ma non hanno degli atlanti questi giornalisti dotti?), ma non si può tacere su alcuni aspetti dell’articolo.
Merlo parla di marginalità territoriale. Forse ha ragione. Varese non è più capace di comunicare. Non sa far valere nemmeno la ragione dei numeri, ma questo è tollerabile per l’uomo della strada, il lettore distratto. Da Repubblica non ce la saremmo proprio aspettata. Altro che marginale. Varese è uno dei territori più ricchi e importanti in Italia. Con quasi novecentomila abitanti e oltre sessantamila aziende rappresenta un tessuto di una vivacità che ha pochi simili in tutto il Paese. Esprime dirigenti nazionali di associazioni, scelti non per lobby o per pressioni politiche, ma in base al loro lavoro e alla loro competenza. Se vogliamo riportare un dibattito serio sui territori cosiddetti “marginali” cerchiamo di essere meno superficiali altrimenti le cose non miglioreranno mai.
Bossi sarebbe poi la “versione incolta e settentrionale della rete di Orlando”. Sul giudizio politico non entriamo, ma Merlo ha letto cosa raccontava il suo collega Bocca sulla Lega non più tardi di dieci anni fa? Si è chiesto come mai un personaggio del livello di Cacciari ha tentato di dar vita a una Lega di “sinistra” vedendo subito naufragato il suo progetto?
Viene il dubbio che ormai il giornalismo di inchiesta sia non solo tramontato, ma abiurato.
E da ultimo. Merlo si è chiesto come mai tanto successo elettorale? Si è chiesto se dietro alla facciata magari si nasconde anche qualche ragione? Oppure crede che centinaia di migliaia di elettori siano tutti vittime di affabulatori o siano “padroncini” in difesa dei loro piccoli privilegi (leggi lavorare dodici ore magari per mille euro). Si è mai chiesto perché persone non solo degne di considerazione, ma anche di grande livello politico e umano come l’ex sindaco ed ex leghista Raimondo Fassa non abbiano mai attaccato Bossi anche quando lui li crocefiggeva? Si è mai chiesto come abbia fatto un leader a stare sempre sul confine della legalità e non aver mai avuto gesti di violenza da parte del suo movimento?
Ora Bossi sembra aver intrapreso un viale che in lontananza si colora di un rosso tramonto. Non ci scommetteremo, potremmo perdere come altre volte ci è successo. Ci piacerebbe però vedere finalmente un fronte compatto che racconti ai cittadini perché la Lega avrebbe fatto il suo tempo. Un fronte sereno, non liquidatorio, non persecutorio, ma capace di analisi e di proposte.
Non ho mai votato Lega e non ho mai avuto dubbi su questa scelta. Da buon “terun” che ha scelto di vivere nel Varesotto ormai ventisei anni fa, ho cercato di capire cosa significasse questo movimento. Da buon “terun”, all’inizio lo liquidai come una sorta di accolita della protesta. Rozzi, qualunquisti, poveri di argomenti, ecc. E come tanti ero convinto che subito dopo la protesta Bossi, Maroni e compagni sarebbe tornati a fare le loro attività e nessuno se li sarebbe ricordati. Illuso io e illusi i tanti che a ogni tornata elettorale da almeno dieci anni recitano il de profundis al Carroccio. Abbiamo visto cambiare tante volte la pelle a questo movimento. Abbiamo conosciuto non solo persone per bene, ma anche bravi amministratori e politici non solo per convenienza, ma perché convinti delle proprie idee. Persone, e Bossi è tra queste, che continuano a vivere tra la gente comune e che magari ci rimettono anche del proprio per quello in cui credono. Idealismi da strapazzo? Può essere. Ma intanto la politica è anche questo. Da ammiratore di Enrico Berlinguer non ho mai voluto paragonare la malattia del senatur a quanto successo al segretario del Pci a Padova nel 1984. Troppo diversi gli uomini e troppo lontani culturalmente. Però…
Fa bene Merlo ad essere irriverente e a non cadere in un buonismo di maniera, a non concedere alcuno sconto al Bossi politico. Quello che non può essere accettato è però il pressappochismo e le analisi liquidatorie che infarciscono da cima a fondo il suo articolo.
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