Il volto umano della medicina
Università - Si è concluso il primo master internazionale in medical humanities. Hanno partecipato studenti provenienti da tutto il mondo, da Cuba fino al Congo
«Più che insegnato, abbiamo imparato molto». Una dichiarazione in cui non c’è nulla di strano, se non fosse che a rilasciarla sono due docenti dell’università dell’Insubria, Mario Tavani e Mario Picozzi, coordinatori del primo master internazionale in medical humanities. Uno sguardo diverso sulla medicina, una volontà di sapere nuova, che non guarda con sospetto alle cure alternative, e a tutto ciò che non ha i crismi dell’ufficialità accademica e che si pone la domanda di come collocare la medicina popolare nell’assistenza del malato.
È certamente più facile sorridere di fronte a chi sostiene l’efficacia di una cura con una reliquia, piuttosto che aprire una riflessione seria su questi metodi. Venti studenti-laureati, tra cui filosofi, architetti, antropologi, sociologi e medici, provenienti dai quattro angoli della terra, da Cuba fino al Congo, ci hanno provato.
Il master prevedeva lezioni itineranti in Francia, Spagna e Svizzera: 17 moduli, due scuole estive e un metodo interdisciplinare che comprendeva la proiezione e il commento di film sul tema della malattia e dell’ospedalizzazione, che ha ispirato registi prestigiosi come Peter Greenaway ("Il ventre dell’architetto"), Pedro Almodovar ("Tutto su mia madre", "Parla con lei"), Denys Arcand ("Le invasioni barbariche").
«Bisogna iniziare a pensare alla tutela della salute in un altro modo – spiega Mario Tavani (foto sopra)-. C’è un sapere che la medicina occidentale ignora, ma con il quale ci si deve confrontare. Ad esempio, i medici del Congo ci hanno insegnato la diversa concezione del tempo e dell’attesa, oppure quanto efficace sia in Africa la comunicazione verbale nelle campagne di prevenzione dell’Aids, piuttosto che la consegna materiale di un preservativo».
La malattia ha una dimensione temporale e spaziale, di cui i luoghi di cura non sempre tengono conto. «Due moduli del master- aggiunge Mario Picozzi – sono stati dedicati all’architettura degli ospedali e su come devono essere organizzati gli spazi per agevolare il malato. Abbiamo avuto interventi di architetti del calibro di Mario Botta e gli studenti, soprattutto i messicani, hanno elaborato progetti interessanti».
Tra le tesi presentate – che saranno pubblicate in un volume nei prossimi mesi – anche lavori sull’eutanasia e il suicidio assistito, argomenti in cui il confine con la morale e l’etica non è sempre di facile individuazione. «Bisogna interrogarsi continuamente – conclude Tavani – sul rapporto medico-paziente, ma anche su chi gravita intorno al malato. Chiedersi che cosa ha dentro il parente che aspetta notizie sul proprio caro, dovrebbe essere normale. Il medico che non si interroga sul dolore è un medico incompleto».
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