Quale futuro per Scienze della Comunicazione?

Qualche problema, alcuni disguidi ma prima o poi tutto è filato per il verso giusto. Il giudizio sul corso è buono ma....

Un clima di incertezza si respira nei corridoi di Scienze della Comunicazione all’Insubria. Il corso nato 4 anni fa ha visto un forte spinta propulsiva provenire dal progetto Campus One. Ma dopo 4 anni i finanziamenti si sono esauriti e la domanda lanciata nel corso della presentazione dei risultati esige una risposta.

Scienze della Comunicazione è un corso a numero chiuso, tuttavia ogni anno è stato allargato il numero degli studenti ammessi, passando da 60 a 120, per poi stabilizzarsi ai 160 studenti. Certo, non sembrerebbe niente rispetto ai grandi numeri a cui ci abituano le università di Milano, ma per un’università come l’Insubria, si tratta di una classe molto grande, e costosa da gestire.

Il futuro può sembrare incerto: se, come hanno dichiarato i professori al recente incontro per tracciare un bilancio di quest’esperienza, l’80% degli stipendi dei professori era pagato con questi fondi temporanei, come sarà possibile proseguire ora?

A rischio sembrerebbe non solo la prosecuzione degli studi di chi, finito il terzo anno, vorrebbe proseguire con una biennale, ma anche di quegli studenti che non hanno ancora finito il primo ciclo di studi.
I  timori vengono fomentati anche da alcuni dettagli non trascurabili: 
durante questi anni, l’attivazione di molte materie è sembrata un’incognita, alcuni professori, per motivi mai ben precisati, hanno deciso di abbandonare il proprio incarico prima della fine dei propri corsi, o di non ritornare ad insegnare l’anno successivo, mettendo in difficoltà gli studenti.

Il grado di soddisfazione degli studenti è sicuramente buono, anche perchè tutti i problemi sono stati prima o poi risolti. 
Per capire meglio il clima che si respira al corso di Scienze della Comunicazione, abbiamo posto qualche domanda allle due rappresentanti degli studenti della Classe di Scienze della Comunicazione, Martina e Serena.

Eravate presenti allo scorso convegno sul bilancio di CampusOne?
"Non eravamo presenti perché impegnate nel nostro tirocinio ma, in merito alla conferenza stampa, non è stata data alcuna comunicazione agli studenti, nemmeno a noi rappresentanti, se non poche ore prima. In un corso di laurea di scienze della comunicazione, forse, ci sarebbe dovuta essere più informazione. Per noi CampusOne è sempre stata un’etichetta, che fungeva da santo protettore dei nostri studi".

Parliamo di quello che pensate di CampusOne. Iniziamo dalle strutture: il corso si sarebbe dovuto svolgere a villa Toeplitz ma, dato che il numero di studenti ammessi al corso si è allargato ogni anno, avete dovuto trasferirvi al padiglione Morselli in via Rossi, a Bizzozzero.. La vostra nuova sede si è rivelata all’altezza?
"E’ stato sicuramente utile lo spostamento del corso di laurea a Bizozzero, perché rispondeva alle esigenze di una classe sempre più numerosa, e sicuramente la sua posizione è più facilmente raggiungibile. Tuttavia il padiglione Morselli, dove si tengono le lezioni, è un ambiente dove alcuni tipi di strutture (come il laboratorio informatico) non potossono essere utilizzate al meglio perché troppo piccole. Il problema non è di tipo estetico, ma la cosa secondo noi più grave è che alcuni locali non sono accessibili ai portatori d’handicap, dato che l’ascensore rotto non è mai stato riparato. L’università tuttavia ha previsto un restauro dell’edificio, che speriamo verrà attuato al più presto".

In conferenza è stato detto che al termine dei fondi CampusOne dovrà esserci una svolta, quali sono le vostre prospettive e i vostri timori?
"Le nostre prospettive sono i nostri timori, perché noi tutti auspicheremmo l’attivazione di una laurea specialistica che possa completare la nostra formazione universitaria. Ma per ora non c’è nulla di ufficiale e questo ci porta ad aprirci ad altre realtà universitarie. Tuttavia l’accesso in altri atenei non è semplice perché non c’è omogeneità nella strutturazione dei corsi di laurea tra ateneo e ateneo, anche se tutti sembrano portare lo stesso nome. Di certo non possiamo accusare l’Insubria di questi disagi, legati alla riforma del 3+2, tuttavia speriamo che l’ateneo riesca a capire l’importanza della nostra esigenza, dato che da sempre, nei manifesti degli studi, ha "auspicato" la creazione di una laurea biennale".

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 23 Novembre 2004
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