«Voglio rientrare: ho un debito di riconoscenza verso l’Italia»

L'Università dell'Insubria richiama un "cervello" in fuga. Varesino doc, dal '99 in Germania impegnato a trovare risposte ad alcune malattie genetiche

È un ricercatore emigrato all’estero. Uno dei celebri "cervelli in fuga" da un sistema che stenta a dare occasioni ai giovani brillanti laureati con ambizioni da scienziato.
Ora, grazie all’opportunità concessa dal Ministero dell’Università per recuperare un patrimonio inestimabile, ha fatto richiesta di tornare a casa e di mettersi a disposizione del paese.
Parliamo di Paolo Macchi, 36 anni, nato a Varese e cresciuto a Casciago, studente del liceo scientifico Ferraris, laureatosi nel ’92 a Milano con 110 e lode.
Fresco di laurea, Paolo entrò al CNR grazie ad un amico che lo mise in contatto con il direttore del centro di biologia molecolare. Nei tre anni passati vicino al premio Nobel Dulbecco, studiò i geni coinvolti in alcune patologie rare: "Individuammo il gene mutato nei bambini affetti da SCID, una malattia che abbassa le difese immunitarie del soggetto, costretto a vivere in un ambiente asettico".

Per Paolo la ricerca era una missione: " Dopo quell’esperienza cominciai a guardarmi intorno. Volevo imparare: decisi di andare a Tubingen, dove esiste il miglior laboratorio in campo neurobiologico. Vinsi una borsa di studio per tre anni di Telethon e partii".

Paolo Macchi decise, quindi, di lasciare Casciago e di trasferirsi in Germania con la famiglia: "L’impatto con la gente tedesca fu un po’ traumatico – ricorda lo scienziato – ma alla fine riuscii ad ambientarmi e a crearmi una cerchia di amicizie, grazie anche all’ambiente internazionale del laboratorio dove lavoravo. Al Max Planck Institute For Developmental Biology ho incontrato studiosi provenienti dai quattro angoli del mondo. Un’esperienza incredibile e unica. Sono entrato in contatto con culture diverse, modi di pensare, di vivere differenti. In questo clima internazionale ho imparato tantissimo raggiungendo anche risultati importanti. Abbiamo studiato i fattori che sostengono lo sviluppo dei neuroni che concorrono a formare i nervi".

Oggi, però, Paolo Macchi vorrebbe rientrare e l’opportunità offerta dal Ministero gli è sembrata un occasione da cogliere al volo. Il Miur, infatti, concede alle università di richiamare cervelli, finanziando progetti di ricerca per tre anni. L’ateneo deve mettere a disposizione i locali e la "logistica" per ospitare il nuovo lavoro di ricerca.
"Mi ero offerto al Rettore per tenere un seminario – ricorda Paolo – Sono venuto a Varese a parlare e ho trovato un ambiente molto attivo e recettivo. Con la professoressa Parolaro ( che dirige il Centro di Neuroscienze ) c’è stato subito feeling. L’Insubria ha inoltrato la domanda e ora siamo in attesa di sapere se andrà a buon fine".

Per lo scienziato c’è già pronto un progetto di ricerca specifico sempre nel campo dello sviluppo del sistema nervoso centrale " È un’università giovane ma molto dinamica. A Busto si fanno tante attività interessanti. L’ambiente è vivo e anche la struttura si presta ad ampliare questo settore".
Paolo Macchi è quindi in attesa di una risposta: la domanda, presentata nel luglio scorso, dovrebbe avere una risposta a giorni, magari prima di Natale: " Io e la mia famiglia, ho due bambini di quattro anni e di un anno e mezzo, ci troviamo bene a Tubingen, una cittadina molto vivibile. Ho ricevuto un’offerta da Vienna. Ma il mio desiderio è di ritornare a casa anche perché ritengo di avere un dovere morale verso l’Italia che mi ha dato l’opportunità di prepararmi professionalmente. Sono convinto che ci sia la possibilità di avviare un discorso sulla ricerca. Le difficoltà sono tante, non me lo nascondo, in altre parti del mondo la cultura scientifica è più diffusa e condivisa. Ciononostante ritengo valga la pena tentare".
Paolo Macchi vorrebbe tornare per rimanere. Ha amici che sono rientrati e poi hanno rifatto la valigia per mancanza di fondi: "Devo tentare, sento che lo devo. Chiunque voglia affrontare la ricerca deve fare un’esperienza all’estero per aprirsi la mente e anche per capire meglio l’Italia. Nel nostro paese c’è ancora poca attenzione a questo campo, negli altri paesi l’industria condivide e i sostiene progetti. Ma io sono fiducioso che la situazione migliori".

E non si può che condividere la speranza. Soprattutto ai Molini Marzoli si augurano vivamente che la ricerca acquisti importanza: l’offerta del Miur vale tre anni dopodiché il ricercatore si ritroverà disoccupato, a meno che l’ateneo non darà fondo alle sue finanze per ritagli un posto ad hoc. Mettendo effettivamente fine alla fuga.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 20 Dicembre 2004
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