Vito Volterra, genio troppo ebreo per essere ricordato
Uno dei più grandi scienziati italiani fu bandito da tutte le istituzioni dopo le leggi razziali. Fu uno dei dodici professori universitari a non giurare fedeltà al fascismo
Elena Loewenthal, giornalista e scrittrice, nel libro “Lettera agli amici non ebrei” (Bompiani), dedica l’apertura a Vito Volterra (Ancona 1860- Roma 1940), membro dell’Accademia dei Lincei e preside della facoltà di scienze dell’università La Sapienza di Roma.
La storia di Volterra, cittadino italiano di origine ebraica, è emblematica di quello che accadde a migliaia di persone dopo la promulgazione delle leggi razziali del ’38, volute da Benito Mussolini e controfirmate da Vittorio Emanuele III.
Eppure Vito Volterra, come molti cittadini ebrei, aveva fatto la fortuna di casa Savoia ed era un vero patriota: nel 1914 chiese di essere arruolato come ufficiale di complemento nel Genio, dedicandosi a un progetto aeronautico e allo sviluppo delle rilevazioni fototelemetriche. Il suo nome compare nell’elenco dei dodici professori universitari che non firmarono la fedeltà al regime fascista, quanto bastava per essere messo al bando da tutte le istituzioni scolastiche e accademiche.
Gli verranno risparmiati il dolore e l’umiliazione della deportazione, ma non l’ingiusto e infame razzismo di Stato contenuto in un fonogramma che la questura di Roma inviò al ministero degli Interni l’11 ottobre del 1940: «Stamane alle ore 4,30 nella sua abitazione in via Lucina 17 è deceduto il senatore Volterra Vito fu Abramo di razza ebraica». Con questa dichiarazione burocraticamente sciatta, razzista, e ignorante fu archiviata la storia di uno dei più grandi scienziati e matematici del Novecento.
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