“Legnano non è ostaggio delle mafie”
Così il sindaco Vitali all'indomani della maxioperazione contro la 'ndrangheta che ha coinvolto anche la sua città
Legnano, provincia di Crotone? Per la ‘ndrangheta pare di sì, e non ce ne vogliano i legnanesi e i crotonesi onesti. Scrivere è a volte semplificare. Parlare di ‘ndrangheta è sempre un’incognita: le stesse forze dell’ordine sono impegnate in una difficilissima ricostruzione di fatti coperti da molteplici livelli di omertà. A fronte di questi fatti, le autorità locali possono reagire in vari modi. Uno è la prudenza, o l’imbarazzo forse. Quando si è sindaci, e come tali primi difensori del buon nome di una città onorata nei decenni come sinonimo di industria e lavoro, le parole devono farsi caute. È forse anche questo a rendere molto prudente il commento del primo cittadino Lorenzo Vitali sulla maxioperazione Bad Boys che ha colpito la "locale" Legnano-Lonate Pozzolo della potentissima mafia calabrese.
«Ho appena finito di leggere sui quotidiani di questa operazione» ci dice Vitali, «devo complimentarmi con le forze dell’ordine, hanno fatto un grande lavoro». Il livello delle indagini certo non è quello su cui opera la sicurezza comunale, impegnata a contrastare i clandestini, il "fastidio visibile" a differenza di una malavita organizzata che si rende "invisibile" almeno fin quando non sfodera le armi. A Legnano risiedeva Vincenzo Rispoli, il boss dell’organizzazione, nipote del capoclan di Cirò Marina (Crotone) Giuseppe Farao. Genero di Farao era invece quel Cataldo Aloisio "giustiziato" il settembre scorso a San Giorgio su Legnano con una vera esecuzione, evidente e simbolica, un colpo alla nuca. In un bar di San Vittore Olona, sempre a due passi da Legnano, era stato invece assassinato in luglio Carmelo Novella, legato a clan catanzaresi. Fatti che avevano indotto a convocare a Legnano una seduta del Comitato per l’Ordine Pubblico e la Sicurezza che si era chiuso, almeno in apparenza, su toni rassicuranti: nessuna emergenza particolare, a parte quel paio di delitti tutti da decifrare. E il nome della città era alla pari con Lonate Pozzolo nella denominazione della "locale" ‘ndranghetista: un sistema di affari, ricatti, intimidazioni, pizzo coperto da un muro di silenzio che solo anni di indagini delicate e riservatissime hanno potuto in parte svelare.
«Il fatto che il capo riconosciuto dell’organizzazione smantellata ieri risiedesse a Legnano» commenta il sindaco «non significa, secondo me, che a Legnano vi sia criminalità organizzata o che la città sia sotto scacco da parte della medesima». Un problema isolato dunque? «Non so dirlo con certezza: prendo atto che qui risiedeva uno che contava in queste organizzazioni, ma la città non è malata, non è che a Legnano ci sia mafia o ‘ndrangheta ovunque. Appalti? No: segnalazioni, formali o informali al riuardo non ne abbiamo avute, a mia conoscenza non si sono mai verificate turbative nel settore». Il primo cittadino, perplesso e di certo poco contento che il nome della città venga associato, con quello di Lonate Pozzolo, a fenomeni che in apparenza nulla avrebbero a che fare con queste terre, ma in realtà vi sono ormai organici da decenni, esprime una speranza. «Che questi interventi delle forze dell’ordine facciano calare, a catena, anche tutti quei reati di allarme sociale che riscontriamo sul territorio, ad esempio lo spaccio di droga. Le istituzioni lavorino per arrivare a ripulire questo Paese».
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