Malpensa, le griffe d’alta moda se ne vanno e i lavoratori perdono il posto
Le grandi firme lasciano l'aeroporto: oltre un centinaio i dipendenti lasciati a casa senza ammortizzatori sociali. La Filcams Cgil chiede l'apertura di un tavolo a Sea: "Ci spieghi cosa vogliono fare"
Non sono solo i lavoratori del comparto aereo a soffrire della crisi di Malpensa. È questo il messaggio forte lanciato dai lavoratori dell’indotto del commercio e dai rappresentanti sindacali della Filcams Cgil, riuniti a Milano per rialzare l’attenzione sulla questione dei negozi delle grandi firme che decidono in serie di chiudere baracca e burattini e lasciare lo scalo varesino: «Chiediamo da tempo l’apertura di un tavolo a Sea per discutere della situazione sempre più drammatica dell’indotto – spiega Lucia Anile della Filcams Cgil -. In particolare l’attenzione è centrata sui lavoratori del commercio, soprattutto quelli che lavorano nei negozi delle grandi firme della moda, vanto del made in Italy in tutto il mondo. Trussardi, Valentino, Diesel solo per citarne alcuni hanno deciso di chiudere, altri ci stanno pensando da tempo, lasciando a casa oltre un centinaio di lavoratori senza ammortizzatori sociali né paracadute di nessun tipo. Con l’addio di Alitalia e la crisi del comparto aereo i passeggeri sono diminuiti ed è cambiata radicalmente la tipologia dei clienti, non più disposti a fare acquisti di cose firmate in aeroporto: Sea dovrebbe decidere cosa fare, deve cambiare strategia e decidere se vuole trattenere le grandi marche, ma anche bar ed altri esercizi commerciali, o lasciarli andare via tutti o quasi. I tempi determinati non vengono rinnovati: non accettiamo di veder volatilizzarsi tutti questi posti di lavoro».
Tra i dipendenti che hanno perso il posto, per la maggior parte donne, c’è Miriam, 42 anni e un figlio di 20 mesi da accudire, lasciata a casa con altri 4 colleghi da Valentino: «Lavoravo al negozio del terminal 1, area extra Schengen, da sette anni – spiega -. L’azienda ha deciso di chiudere il punto vendita e noi siamo stati lasciati a casa in mobilità di punto in bianco dal 28 febbraio scorso. Via Alitalia il giro d’affari è crollato, ma con Sea la società non è mai riuscita a d aprire una trattativa seria per rivedere i contratti d’affitto e le royalties sugli incassi. Il vero problema è quello dei minimi garantiti: se in cassa non c’è nulla ma bisogna dare lo stesso un tot (alto) fissato per contratto con il gestore aeroportuale non si riesce a tenere i conti in ordine. Sea diceva che via Montanapoleone si era spostata a Malpensa, ma via via se ne vanno tutti: l’aeroporto assomiglia sempre più ad un deserto».
Sara invece è una di quelle ancora in bilico. Lavora da Ermès, ha 36 anni, una figlia di tre anni e la prospettiva ventilata dall’azienda di chiudere e andare via da Malpensa: «Il nostro responsabile ci ha detto chiaro che se Sea non rivede gli accordi presi, Ermès da Malpensa se ne andrà – spiega -. Noi siamo in 4, tutte donne con bambini piccoli: per noi è dura trovare alternative e l’unica possibilità che abbiamo è lavorare in aeroporto. Se Sea, nonostante il crollo del mercato, continua a chiedere il 27 per cento degli incassi e un minimo difficile se non impossibile da garantire, le cose finiranno in fretta. A Roma con la crisi di Alitalia sono stati diminuiti royalties e affitti, a Milano no. Così non si va da nessuna parte».
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