“La crisi è un problema di etica”

La relazione del presidente tocca i punti fondamentali della vita sociale, economica e politica del Paese con passaggi coraggiosi che mettono al centro il ruolo dello Stato, delle imprese, dei lavoratori e della politica

È il lavoro con i suoi valori, con i significati più profondi della vita sociale il cuore della relazione di Michele Graglia all’assemblea annuale dell’Unione degli industriali della provincia di Varese. E con questo i cambiamenti dei comportamenti sul piano economico.
“Il lavoro come dimensione creativa, organizzativa e costruttiva. Il lavoro che si riafferma come prospettiva culturale, come valore centrale nella vita di ogni persona. Il lavoro che accomuna l’artigiano e l’operaio, l’imprenditore e il professionista, noi ed i nostri collaboratori.
La crisi ci ha rimesso davanti al senso del limite. Ci ha posto, nostro malgrado, un problema di etica. Ora siamo, tutti, nuovamente costretti a imporci dei limiti”.
Il presidente di Univa si pone una domanda su quale sia il possibile sviluppo di un sistema che ha poggiato le proprie basi sul consumismo e prova così a dare delle risposte. “Il consumo non è sparito. Si è modificato. È diventato più selettivo. È in qualche modo diventato più etico, più temperato. Meno superfluo. Più attento alle esigenze reali. E in primo piano accanto al consumo anche il valore del lavoro, un valore che l’esuberanza della crescita aveva quasi nascosto fino a farlo ritenere superfluo, un valore che invece costituisce un elemento essenziale di ogni sviluppo. Il valore del lavoro, ma insieme a questo, il valore dell’imprenditorialità e della libertà d’impresa. Il lavoro per realizzare beni e servizi, il lavoro come espressione della creatività della persona, il lavoro come capacità di mettere insieme competenze e professionalità. Il lavoro per produrre quindi, per produrre cose visibili, sensibili, utili alla vita di ognuno”.
Un intervento coraggioso che guarda avanti. Graglia non cita la parola speranza, ma tutta la sua relazione è orientata a cogliere la positività del sistema Italia senza per questo nascondere le responsabilità che hanno portato alla crisi.
“Declino è una parola che non appartiene alle nostre tradizioni e non possiamo neppure permettere che appartenga al nostro vocabolario. – E continua affermando che “non possiamo sottovalutare il fatto che alle radici della crisi ci sia l’aver sovvertito troppo a lungo e sempre più ampiamente la logica della sana e corretta amministrazione, anteponendo l’effervescenza dell’economia finanziaria alla solidità e alla concretezza dell’economia reale. E noi imprenditori dobbiamo riflettere su come ciò sia potuto accadere e chiederci se, forse, anche da parte nostra, non si sia difeso a sufficienza il primato del produrre. Si è lasciato che altri perseguissero l’illusione di trasformare i debiti in ricchezza, che la finanza potesse essere fine a se stessa, si è permesso di ridurre le regole auspicando di rendere più efficienti i mercati, ma si sono sacrificati alcuni valori fondamentali quali ad esempio l’etica e la solidarietà”.
E dalle responsabilità del sistema economico e anche delle imprese Graglia passa a parlare della politica che “è il luogo indispensabile della rappresentanza e della mediazione, è il respiro di una democrazia che deve far sentire ogni cittadino protagonista. Non possiamo permetterci una politica che si esprime solo nei talk show, che privilegia gli annunci e le polemiche, che si rigenera con difficoltà. Abbiamo bisogno di riforme. Riforme per salvarsi, per crescere, per ridurre i costi interni di funzionamento della gestione della cosa pubblica, per dare più efficienza, per dare risorse ai giovani e alle imprese, per fare dell’Italia un Paese moderno che sappia anteporre l’interesse collettivo ai benefici individuali”.
Michele Graglia ragiona poi sul futuro del capitalismo ed è convinto che occorra “tornare ai fondamentali, quindi, tornare alla società del fare, riprendere in mano i temi della sostenibilità della crescita e della capacità di sviluppare il capitale umano. Solo lo Stato, paradossalmente, può salvare il capitalismo da se stesso intervenendo con le regole, aumentandone la portata democratica ed impedendo che i pochi che sbagliano, come è avvenuto in questa crisi, possano compromettere il destino di molti.
Un capitalismo sano, fondato sulla collaborazione dei lavoratori e dei sindacati, sull’impegno diretto e partecipato dell’imprenditore nella sua impresa. Una collaborazione che in questi mesi abbiamo visto concretizzarsi con un’assunzione di ruolo partecipe da parte dei lavoratori che al nostro fianco hanno vissuto i sacrifici richiesti con la consapevolezza che erano sacrifici fatti con l’intenzione di limitare i danni e di affrontare una situazione eccezionale cercando di preservare, per quanto possibile, le prospettive di lavoro future. Una partecipazione che, debbo e voglio testimoniarlo, abbiamo incontrato anche da parte del sindacato che con noi ha incessantemente cercato soluzioni mettendo a frutto quel patrimonio di relazioni collaborative costruito nel tempo”.
Il presidente chiude la sua relazione riprendendo la parola d’ordine che ha caratterizzato l’assemblea annuale di Univa. “Non abbiamo la finanza nei nostri interessi prevalenti. Ri-partire è un concetto che contiene in sé tante declinazioni. Ri-partire è ri-motivarsi. Ri-partire è ri-pensare. Ri-partire è ri-progettare. Ri-partire è ri-allacciare. Ri-partire è ri-collocarsi”.
E sull’Europa non ha alcun dubbio. “È da lì che passano le nuove prospettive di crescita. È lì che dobbiamo esserci”.

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Pubblicato il 25 Maggio 2009
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