«Piste ciclabili insicure, pericolose e malconcepite»
Intervento dell’associazione Famigliari vittime per una strada che non c’è secondo cui i percorsi protetti andrebbero rialzati
Piste ciclabili, insicure, concepite male ed anche pericolose, nonostante gli sforzi delle amministrazioni comunali. L’associazione “Famigliari vittime per una strada che non c’è” commenta con queste parole la morte in due giorni di due ciclisti. Nel frattempo, a livello nazionale, è arrivata anche la statistica che sulle strade d’Italia i meno protetti sono proprio i ciclisti. «Il ciclista, come il pedone, è, sulle strade, un soggetto debole – spiega Ernesto Restelli, dell’associazione -, perché non costituisce una causa di rischio per gli altri utenti della strada, automobilisti e conducenti di mezzi pesanti, che, molto spesso, non hanno la sufficiente percezione e considerazione di questa loro condizione di debolezza. Oggi la garanzia di sicurezza dell’andare in bicicletta si ricerca essenzialmente con la realizzazione di piste ciclabili, dimenticando che, così come sono concepite in Italia, sono uno spazio di riserva per i veicoli che davanti al rischio di scontro con altri veicoli provenienti dalla corsia opposta, istintivamente si spostano sulla parte libera di destra: la pista ciclabile».
«La pista ciclabile è uno strumento di sicurezza se viene concepita a regola d’arte – prosegue Restelli -. In molti paesi sono state ristrette le corsie riservate alle auto e con lo spazio recuperato si sono costruite lateralmente delle piste pedonali e ciclabili ad un’altezza superiore al piano stradale. Il maggior pericolo per i ciclisti e pedoni è costituito dall’alto numero di auto circolanti nelle città: il maggior numero di incidenti e vittime, anche da parte degli automobilisti avviene sulle strade urbane e soprattutto per le velocità di impatto».
Dall’associazione rendono noti anche alcuni dati: i crash test hanno mostrato come la probabilità di morte (e di ferite gravi) cresca più che proporzionalmente rispetto alla velocità di impatto di un veicolo con un pedone o ciclista. In linea di massima per impatti alla velocità di 30 Km/h la probabilità di decesso è circa del 10%, per impatti alla velocità di 50 Km/h (in città questo limite non dovrebbe essere mai superato ma le trasgressioni non si contano) le probabilità di decesso aumentano notevolmente, attestandosi a circa il 50%, mentre per impatti alla velocità di 70 Km/h il rischio di decesso arriva al 95% .
Dall’associazione rendono noti anche alcuni dati: i crash test hanno mostrato come la probabilità di morte (e di ferite gravi) cresca più che proporzionalmente rispetto alla velocità di impatto di un veicolo con un pedone o ciclista. In linea di massima per impatti alla velocità di 30 Km/h la probabilità di decesso è circa del 10%, per impatti alla velocità di 50 Km/h (in città questo limite non dovrebbe essere mai superato ma le trasgressioni non si contano) le probabilità di decesso aumentano notevolmente, attestandosi a circa il 50%, mentre per impatti alla velocità di 70 Km/h il rischio di decesso arriva al 95% .
«Nei paesi del nord le zone trenta ( dove il limite max è di 30 Km/h) sono ben accette e molte volte rendono il traffico più fluido – conclude Restelli -. Dobbiamo sottolineare che la vita umana è un bene assoluto e la sua perdita non può essere giustificata da considerazioni statistiche, legate oltretutto ai Km percorsi. Noi insistiamo e proponiamo la bici come mezzo per migliorare il nostro stato di salute e la viabilità».
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