Don Mazzi: “Ho salvato gli altri per salvare me stesso”
Il religioso, fondatore di Fondazione Exodus, festeggia i suoi 80 anni e ricorda alcuni episodi di una vita lunga e ricca di emozioni e incontri
Don Antonio Mazzi è un personaggio particolare, «un matto» come lui stesso si definisce. Per festeggiare i suoi 80 anni e il venticinquesimo anniversario della sua creatura, la Fondazione Exodus, ha deciso di organizzare un evento in grande stile (domenica 11 ottobre alle 21), con tanto di concerto con uno Stradivari del 1708 nella Basilica di Santa Maria Assunta a Gallarate, una delle città che ha accolto e ospitato le comunità di recupero del parroco veronese
Don Mazzi ama la musica da sempre: «La musica mi ha salvato – racconta -, quando mi bocciarono in terza media per cattiva condotta il mio professore di lettere, l’unico che mi voleva bene (con le parole ci ho sempre preso, molto meno con i numeri), mi fece conoscere il pianoforte per
provare a incanalare rabbia e aggressività. Ci riuscì e per anni continuai a suonare fino all’esaurimento». Quando gli si chiede un ricordo particolarmente emozionante, don Mazzi si toglie gli occhiali scuri e comincia a raccontare: «Quando arrivammo a Gallarate ci occupavamo dei disperati della stazione, luogo di ritrovo per numerosi tossicodipendenti – spiega il parroco -. Nella mia memoria ci sono una serie infinita di immagini: dai momenti brutti a quelli belli ed emozionanti. Mi ricordo quando arrivai a Ponte Lambro (il quartiere nella periferia di Milano dove cominciò l’avventura di Exodus nel tentativo di recuperare e salvare i tossicodipendenti che si rifornivano in quello che negli Anni Ottanta era un vero e proprio mercato della droga a cielo aperto, ndr), la prima sera che sceso dal tram intorno alle 23 di sera mi puntarono un coltello alla gola, cerando di intimorirmi; oppure alla prima assemblea nella scuola del quartiere, il Molinari, dove la droga era diffusa e dalle vetrate si vedeva la collinetta dove lo spaccio era quotidiano e continuo: chiesi come facessero a sopportare tutto quello senza fare nulla e mi riempirono la faccia e il corpo di sputi; o ancora la prima riunione con la gente del quartiere, accompagnato dall’allora sindaco Pillitteri: ricordo una donna che mi urlò in faccia che l’unica soluzione era il lanciafiamme, una veemenza che mi impressionò».
provare a incanalare rabbia e aggressività. Ci riuscì e per anni continuai a suonare fino all’esaurimento». Quando gli si chiede un ricordo particolarmente emozionante, don Mazzi si toglie gli occhiali scuri e comincia a raccontare: «Quando arrivammo a Gallarate ci occupavamo dei disperati della stazione, luogo di ritrovo per numerosi tossicodipendenti – spiega il parroco -. Nella mia memoria ci sono una serie infinita di immagini: dai momenti brutti a quelli belli ed emozionanti. Mi ricordo quando arrivai a Ponte Lambro (il quartiere nella periferia di Milano dove cominciò l’avventura di Exodus nel tentativo di recuperare e salvare i tossicodipendenti che si rifornivano in quello che negli Anni Ottanta era un vero e proprio mercato della droga a cielo aperto, ndr), la prima sera che sceso dal tram intorno alle 23 di sera mi puntarono un coltello alla gola, cerando di intimorirmi; oppure alla prima assemblea nella scuola del quartiere, il Molinari, dove la droga era diffusa e dalle vetrate si vedeva la collinetta dove lo spaccio era quotidiano e continuo: chiesi come facessero a sopportare tutto quello senza fare nulla e mi riempirono la faccia e il corpo di sputi; o ancora la prima riunione con la gente del quartiere, accompagnato dall’allora sindaco Pillitteri: ricordo una donna che mi urlò in faccia che l’unica soluzione era il lanciafiamme, una veemenza che mi impressionò».Oltre alle prime traumatiche esperienze, anche ricordi positivi: «La mia è stata una vita di avventure straordinarie, auguro a tutti di vivere quello che ho vissuto io – dice ancora don Mazzi -. Tra le persone che ricordo con più
emozione c’è Marco Donat Cattin (ex terrorista di prima Linea, figlio del politico democristiano Carlo, ndr): fummo i primi ad avvicinarci ai terroristi, cercando per loro una via di redenzione nuova. Le misure alternative alla detenzione ci dettero l’opportunità e riuscimmo ad avviare il rapporto: Marco mi telefonò dalla Francia alle tre di notte e fissammo un appuntamento a Brescia, super blindato e all’alba; mi accolse con un grosso cane lupo, gli dissi che non sapevo se spaccargli la faccia o stringerli la mano. Cominciò così un’avventura positiva insieme, piena di minacce e difficoltà, che si concluse tragicamente proprio quando stava aiutando una signora a Somma Campagna, vicino a casa mia: lo travolse un’auto in corsa, il suo corpo lo vidi solo io». Oltre a Donat Cattin sono altre centinaia le persone aiutate da don Mazzi e dalla Fondazione Exodus: «Se dovessi rinascere tornerei a fare quello che ho fatto, sempre che il Padre Eterno non mi faccia meno matto – prosegue -. Ho aiutato gli altri per salvare me stesso: me lo ha fatto capire David Maria Turoldo una volta che mi ha confessato. Per salvarsi bisogna aiutare il prossimo, è l’unica via».
emozione c’è Marco Donat Cattin (ex terrorista di prima Linea, figlio del politico democristiano Carlo, ndr): fummo i primi ad avvicinarci ai terroristi, cercando per loro una via di redenzione nuova. Le misure alternative alla detenzione ci dettero l’opportunità e riuscimmo ad avviare il rapporto: Marco mi telefonò dalla Francia alle tre di notte e fissammo un appuntamento a Brescia, super blindato e all’alba; mi accolse con un grosso cane lupo, gli dissi che non sapevo se spaccargli la faccia o stringerli la mano. Cominciò così un’avventura positiva insieme, piena di minacce e difficoltà, che si concluse tragicamente proprio quando stava aiutando una signora a Somma Campagna, vicino a casa mia: lo travolse un’auto in corsa, il suo corpo lo vidi solo io». Oltre a Donat Cattin sono altre centinaia le persone aiutate da don Mazzi e dalla Fondazione Exodus: «Se dovessi rinascere tornerei a fare quello che ho fatto, sempre che il Padre Eterno non mi faccia meno matto – prosegue -. Ho aiutato gli altri per salvare me stesso: me lo ha fatto capire David Maria Turoldo una volta che mi ha confessato. Per salvarsi bisogna aiutare il prossimo, è l’unica via».TAG ARTICOLO
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