Don Mazzi e l’avventura della vita
Il sacerdote a confronto con i giovani oratoriani di Sacconago. L'adolescente "questo sconosciuto", la crisi dei quarantenni, le solitudini e le paure in un mondo che cambia a rotta di collo
«Ognuno di noi è una copia originale di Dio. Siamo tutti figli di Dio, non solo Gesù». È con questa invocazione a recuperare la sacralità della persona che l’intervento di don Antonio Mazzi "culmina", in un picco di volume e di intensità etica. Il popolare sacerdote, storico animatore della comunità Exodus e personaggio "mediatico" come pochi, da sempre impegnato in un’inesausta battaglia con i giovani, per i giovani e attraverso i giovani, è stato martedì sera ospite della comunità oratoriana di Sacconago. Circa 250 anime ad accoglierlo al Cinema Teatro Lux di piazza San Donato in serata fredda di nevischio intermittente: non poche. Non solo giovani, ma anche teste canute venute ad ascoltare questo illustre coetaneo sui temi dell’educazione, della società, dei valori. Visti da una "tonaca" tutta particolare. Con don Alessandro, il coadiutore della parrocchia sinaghina, quasi intimidito a presentare l’ospite, e le domande di Fabio Pizzul, giornalista, già a capo dell’Azione cattolica ambrosiana, e figlio del mitico Bruno – "eh, giocano bene questi", direbbe del duo a condurre la serata.
Ecco dunque l’ottantenne (ma chi lo direbbe) sacerdote destreggiarsi fra lo scibile umano, gigioneggiando con il suo pubblico preferito, gli adolescenti, tra una citazione evangelica e una profanissima espressione. Diavolo d’un don Mazzi: non c’è questione su cui non abbia un’opinione, magari controcorrente, e svolge il suo compito di educatore consapevole dei temi, del mondo, di chi è tanto meno anziano di lui.
«La gente è migliore di quel che appare sui media, e non è vero che una volta era migliore. Da sempre i figli sono migliori dei padri» dice: ed è un assioma, perchè «la vocazione dei padri è di fare figli migliori di sé». Ma ci sono poi, questi padri? Mica tanto. «Il problema è che ora sono obbligati ad essere padri: la casa, lui, lei, i bambini, la porta chiusa. Non c’è più la famiglia allargata con zii e nonni, non c’è più non dico la cascina, ma il pianerottolo…» Non tutti sono adeguati alla bisogna, e i risultati si vedono. Don Mazzi identifica due elementi critici attuali: gli adolescenti e i quarantenni – anche per loro è crisi, non di crescita come per i primi, ma di identità e funzione. Fatto delicato perchè i primi sono figli dei secondi. «L’adolescente questo sconosciuto, "strano" per definizione, se vostro figlio non è "strano" è un caso da psichiatria» provoca il presbitero veronese; e «questi quarantenni figli della prima grande crisi dei modelli paterni, cresciuti troppo protetti o troppo trascurati», spesso attori protagonisti, non sempre volontari, dello sfascio delle famiglie. Don Mazzi non lo dice, ma sono spesso loro i nuovi poveri dei dormitori, buttati fuori da casa e privati degli affetti elementari. Senza i quali non c’è vita, perchè senza amore non c’è vita, ammonisce il don rivolto ai ragazzi. Per loro trovare un riferimento, per i padri riscoprire il loro ruolo educativo, ritrovare la spina dorsale di uomini e il senso della vita – non sono sfide da poco. Padri e figli accomunati dalla paura del futuro. Paura che è figlia dei cambiamenti velocissimi della società, cui bisogna saper essere preparati. Ne sa qualcosa lui, nato sotto il fascismo, ragazzino durante la guerra mondiale, giovane prete del miracolo economico, testimone degli inferni artificiali dell’eroina, e ora di fronte alle angosce più esistenziali che si annidano, racconta, nelle grandi e piccole solitudini anche di chi è ricco di denaro, ma povero di affetti.
Il tema della società «non è nè ideologico nè economico», va affrontato senza farsi catturare «nè a destra, nè a sinistra, nè dai cattolici integralisti» slaloma don Mazzi, ma riprendendo il concetto e il senso di comunità, e questo dovrebbe essere l’impegno dei cristiani, «oggi più che mai». Altrimenti, «società è una parola vuota»: perchè solo laddove si vive ancora a misura d’uomo si può seminare e raccogliere, altrove «è come seminare sull’asfalto». Il sacerdote è ottimista, ma vede bene il disagio, i segni dei tempi. «Come si può essere uomini, e a 35 anni non sentire il bisogno di educare, essere donne, e a trenta non avere il desiderio di un figlio?» Si dice che manchi la sicurezza. Qui il don Mazzi provocatore è duro: è un falso problema. «Quando uno cerca sicurezze "prima di", questo e quello, poi ancora quell’altro, vuol dire che non crede a niente, non ha fede. I giovani sono stati castrati, gli adulti hanno tolto loro i sogni. Devi farti la laurea, lo stipendio da xmila al mese, la fidanzata che piace alla mamma, eccetera. Poi diventi magari direttore di qua e presidente di là, ma cosa resti? Un povero pirla». Dalla società… dei magnaccioni a quella dei "bamboccioni" il passo è breve. E anche il provocatore veneto Brunetta si prende il suo, da un corregionale più provocatore di lui: «i ragazzi non hanno bisogno dei 500 euro al mese per uscire da casa, e se un genitore glieli desse i ragazzi dovrebbero sputarglieli sul muso». Anche la libertà è una merce, in una società che non ha altro valore e obiettivo che il denaro.
Ma l’avventura della vita, quella cui don Mazzi invita instancabile i "suoi" giovani, quella, Chi l’ha "pagata"?
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