«Il processo breve è un pugno di ferro in guanti di velluto»

Il senatore del Pd Paolo Rossi analizza il provvedimento passato oggi al senato

Solo pochi giorni fa la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato l’inammissibilità di un ricorso presentato da Cesare Previti – ministro del primo Governo Berlusconi – condannato con sentenza definitiva per corruzione aggravata. L’episodio, circostanziato quanto si vuole, getta tuttavia una chiara luce sia sull’equità di giudizio cui l’imputato è stato sottoposto, sia per converso sul cinismo con cui la Maggioranza vuole a tutti i costi produrre un vulnus che rappresenta il primo passo di una disarticolazione della Giustizia italiana.

Al progressivo prender forma di tale dissennato progetto assiste un pubblico sgomento e incredulo di avvocati, magistrati, personale giudiziario, professionisti della sicurezza e, in particolare, di cittadini.
Questa Maggioranza, coi suoi pretoriani ridotti al ruolo di esecutori di ordini, ritiene evidentemente che il pugno di ferro nascosto nel guanto di velluto sia la migliore fra le strategie: continua a parlare in modo del tutto fumoso e astratto di dialogo e di confronto, poi rifiutando tuttavia con sistematica determinazione qualsivoglia ipotesi di miglioramento del testo in discussione, rendendo così evidente l’affiorare delle reali ragioni che sottostanno all’emanazione del provvedimento.

Non è difficile intravedere all’orizzonte, celato dietro la nebbia delle dichiarazioni dei portavoce di Governo – i Quagliariello, i Cicchitto, i Capezzone – e dietro i loro toni affabili da pseudo-rivoluzionari riconvertiti in cortigiani, uno scenario in cui si definisce, con ampiezza e profondità preoccupanti, lo scempio della Giustizia italiana. Mai, come in questo frangente, l’Italia sempre più da vicino rammenta la caduta della repubblica romana. Augusto non divenne imperatore per decreto, ma assumendo una serie di cariche-chiave e svuotando dall’interno le istituzioni repubblicane. Fu un uomo intelligente e non meno spietato di alcuni suoi successori: condusse numerose guerre ma, grazie al consenso ottenuto pel tramite di Mecenate che riunì sotto la sua protezione gli scrittori e gli intellettuali più in vista dell’epoca, passò alla storia come il «buon Augusto» e per aver fatto chiudere per ben tre volte il tempio di Giano, cosa che avveniva quando l’Impero si trovava in stato di pace.

Ora, fuori dalle suggestioni che pure provengono dalla historia magistra vitae, occorre denunciare con forza che siamo e rimaniamo contrari, come Opposizione e Partito democratico, agli insistiti tentativi governativi di voler spacciare come riforme, smaccate operazioni che hanno il solo scopo di proteggere pochi o un uomo solo. Altra cosa è il vero spirito riformista che, quanto mai oggi, fra migliaia di cittadini che stanno perdendo il lavoro, dovrebbe essere rivolto direttamente e indirettamente a coloro che versano in difficoltà.

Non per questo i temi della Giustizia devono essere accantonati: ma un conto è cercare di porre mano e migliorare le cose affinché tutti i cittadini siano i primi beneficiari di una urgente e auspicabile riforma, un conto è vederla pilotata da un «democrate», da un uomo che si crede solo al comando e che utilizza gli strumenti della democrazia ai propri fini.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 20 Gennaio 2010
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