“Una città che ama i colori”
Poca gente ma concetti chiari alla festa indetta per San Valentino dal Comitato antifascista: al centro il valore della persona. I contributi di padre Giancarlo dei frati e di Jacques Amani per Cgil
Una città più sensibile ai diritti e alla dignità delle persone. Di tutte le persone, non solo degli indigeni "doc" normodotati: e quindi anche di stranieri, disabili, "diversi" e "fuori dal… Comune" vari. Questo il filo conduttore della serata di domenica sera alla Colonia elioterapica indetta dal comitato antifascista per festeggiare a suo modo San Valentino. È il terzo anno per la manifestazione, senza lo "scandalo" (e quindis enza l’attenzione mediatica) della prima segnata dal tema dell’omosessualità e con toni meno "istituzionali" di quella del 2009 dedicata alla costituzione.
"Una città che ama i colori" era il tema di quest’anno. Partecipazione modesta ma sufficiente: fra spettacoli messi in scena da artisti disabili, "corti" cinematografici si temi della convivenza e del crescere, le foto dal mondo di Enrico Mascheroni dedicate ai temi della religiosità, non sono mancati alcuni interventi, coordinati da Elis Ferracini. In particolare padre Giancarlo Colombo della parrocchia dei Frati minori e Jacques Amani di Cgil hanno portato il loro contributo.
Il religioso parte da un aneddoto: raccconta di come, tornato a Busto dopo molti anni, si sia sentito apostrofare con un «allora sei dei nostri» quando disse di esservi nato. «Non era un complimento» riflette. «Una volta le città avevano mura di pietra contro cchi ne stava al di fuori, ora ce ne sono altre» di carattere morale: la paura, oggi come allora, dell’estraneo, del "barbaro", dell’invasore. La Chiesa non può stare a guardare: così le parrocchie, annuncia, si stanno impegnando su progetti comuni «per quelli che non si sentiranno mai dire "sei dei nostri"». In primavera si dovrebbe giungere a definire le azioni da intrapendere, e ogni collaborazione è ben accetta. Anche perchè, rimarca padre Giancarlo, «in questa città ci si dà molto da fare, su più fronti, ma fra i tanti soggetti latita la capacità di fare rete». E non stiamo parlando di Pro Patria. Da rompere c’è quel «monopolio della sfiga» di cui parlerà Ferracini per cui concentrandosi ognuno sui suoi impegni si fatica a cogliere il quadro d’insieme e ad agire concordemente.
Il sindacalista Cgil Jacques Amani è nativo della Costa d’Avorio, in Italia dal 2002, da sei anni impegnato nel sindacato per venire incontro a chi come lui «è stato chiamato» dal nostro Paese. L’emigrazione è un fenomeno della natura umana, «da sempre l’uomo cerca il sostentamento fuori di casa», figurarsi nell’era del pendolarismo di massa e degli aerei che in poche ore fanno il giro della Terra. Il suo appello è al Paese: «L’Italia deve decidere che futuro vuole: ha una fortuna, può studiare le esperienze dei "cugini" europei» che hannod a decenni molta immigrazione, gestita con maggiore o minore successo. Ma gestita: «non è dicendo in piazza che l’Italia non sarà mai un Paese multieticnico che si nega la realtà, perchè lo è già. L’immigrazione c’è, e va governata: non però con strumenti come la legge Bossi-Fini, che in tempi di crisi se perdi il lavoro fa di te, immigrato regolare e integrato, un clandestino da incarcerare, o che non permette di regolarizzare le badanti. Questo paese ha bisogno di 300mila ingressi l’anno» per tenere in piedi la baracca, ma nessuno ha il coraggio di dirlo, mentre l’immigrazione rimane un tema da agitare per raccogliere voti, piuttosto che una materia di seria riflessione per il bene del Paese e di chi ci arriva.
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