Cinque in condotta
Problemi disciplinari, polemiche sul ruolo della famiglia e degli insegnanti e la complessità di una generazione, la prima, digitale. Trattare con disattenzione la scuola significa pregiudicare un mondo migliore
“La scuola non è più la badante che deve accudire e comprendere tutti. Un tempo, se eri bravino, il comportamento non aveva valore. Oggi si pretende responsabilità da tutti. Gli insegnanti devono accogliere e valorizzare, ma gli alunni devono imparare a stare nel gruppo, a rispettare le regole. Nelle scuole si sta ancora affinando il ritorno dell’importanza del voto in condotta, perché si stanno ristabilendo i giusti ruoli in questa comunità”.
Le parole di Claudio Merletti, dirigente provinciale scolastico, arrivano dopo che in una scuola della nostra provincia quasi metà classe aveva preso cinque in condotta. Apriti cielo. Si è subito scatenata una battaglia con diverse prese di posizione. Non è un caso isolato da quando il voto della condotta è tornato ad avere un’importanza centrale nella vita scolastica.
Il problema però è serio, perché spesso la scuola oggi sembra più alle prese con i problemi disciplinari, con i codici di comportamento, che con la propria missione educativa. Serpeggia sempre di più la preoccupazione delle procedure, degli elementi burocratici per scongiurare eventuali prese di posizione dei genitori. Da protagonisti, con ruoli diversi, si assiste sempre più a uno scollamento tra scuola e famiglie. E i ragazzi spesso restano soli lì in mezzo, in preda alla fatica di adolescenti, alla ricerca della propria identità.
Di fronte ai cambiamenti epocali avvenuti negli ultimi due decenni le risposte sembrano ogni giorno più inadeguate. Basti pensare all’elevamento dell’età scolastica a sedici anni, alle nuove tecnologie con internet e telefoni cellulari in primis, alla forte presenza di culture diverse. Gli adolescenti di oggi sono la prima generazione digitale e non è una semplice definizione. Ogni giorno si susseguono studi delle neuroscienze sui cambiamenti a livello celebrale. I ragazzini oggi sono abituati ad essere multitasking e basta osservarli come usano la tecnologia per rendersi conto cosa significhi. Sono costantemente connessi ai loro mondi e la loro capacità di concentrazione è molto diversa da quella dei loro coetanei di solo vent’anni fa.
Di fronte a tale complessità gli insegnanti per lavorare meglio dovrebbero rivedere ogni giorno le proprie strategie, ma nel nostro Paese sembra che le preoccupazioni siano di ben altro tipo. Non si dà la giusta importanza a questa professione. Una situazione assurda perché il nostro futuro dipende dall’età della formazione. Trattare con disattenzione la scuola significa pregiudicare un mondo migliore.
È anche per queste ragioni che va ripensata la rete delle nostre università, che non sono solo l’approdo di un percorso scolastico, ma il primo elemento della formazione degli insegnanti di domani.
L’editoriale è uscito anche sulla Prealpina di venerdì 5 marzo
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