“Abitavo a quattro chilometri da Chernobyl”

Il racconto di un'accompagnatrice dei piccoli ucraini che ogni anno "sbarcano" Busto Arsizio per un mese grazie all'associazione Aubam

La signora Natalija S. è l’interprete-accompagnatrice dei ragazzi venuti dall’Ucraina a Busto Arsizio. Da quindici anni è in contatto con Aubam, allora con sede a Luino, da tre anni a Busto. «Ci siamo messi in contatto con questa associazione italiana perchè cercavamo aiuto per un risanamento» così dice nel suo italiano «dei bambini, c’è veramente tanto bisogno». Può sembrare strano in apparenza, ma anche solo cinque settimane l’anno in un’aria, su un suolo e consumando alimenti non contaminati da radionuclidi migliora nettamente la salute dei ragazzi, a quest’età molto sensibili agli effetti nocivi della ancor forte radioattività residua della tragedia di Chernobyl. «Noi cerchiamo i bambini, ne abbiamo tanti e c’è molta richiesta. Per loro sì è una vacanza, ma la salute è la prima cosa». E i genitori stessi – quando ci sono, non mancano le storie pietose di piccoli venuti da orfanotrofi o da famiglie sfasciate da drammi e separazioni – chiedono di avere questa opportunità. «È perchè possono vedere con i loro occhi l’effetto sulla salute dei piccoli, anche dopo così poco tempo».
Sono proprio i bambini e i ragazzi nati dopo la tragedia i più a rischio. La radioattività ha colpito il patrimonio genetico e i sistemi immunitari di milioni e milioni di ucraini e bielorussi. Fisici e medici calcolano che le conseguenze sulle popolazioni, in termini di problemi immunitari, malformazioni congenite, danni al patrimonio genetico, malattie della tiroide, leucemie e tumori, proseguiranno per 130 anni circa dalla data dell’incidente. Ne sono passati appena 24, in Occidente si è già dimenticato. In Ucraina, è impossibile. «Fino all’aprile 1986 io vivevo vicino a Pripet» dice la signora Skopic, «a quattro chilometri dalla centrale di Chernobyl. Avevo un figlio piccolo, che ora è diventato papà di una bambina. Fummo evacuati a Bojarka, vicino a Kiev. Ebbi poi un altro figlio, alcuni anni dopo l’incidente; nella salute, ne risnetì più del maggiore». I problemi di salute hanno colpito la sua generazione, e quella successiva, e colpiranno ancora le seguenti, a scendere, con il lento dimezzarsi, nell’arco di decenni, dei radionuclidi attivi e della loro nocività. Intanto Pripet è un’allucinante città fantasma, monumento alla (pessima) edilizia sovietica del dopoguerra congelato per sempre due giorni dopo l’incidente, quando le autorità si decisero finalmente all’evacuazione di massa. Nel frattempo i "liquidatori", gli eroi senza scelta che misero una toppa di cemento e piombo al nocciolo esploso del reattore nucleare, morivano come mosche. Non avranno mai monumenti abbastanza grandi. Ma nella centrale, a poche centinaia di metri da un inferno artificiale costruito dall’uomo e "tappato" sommariamente, lavorano ancora dei tecnici. Vedere per credere.

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Pubblicato il 14 Giugno 2010
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