“L’università italiana è tutt’altro che chiusa”
Patrizio Castelli, professore della facoltà di medicina dell'Insubria, ha commentato le proteste contro il decreto Gelmini: «I ricercatori rischiano di essere strumentalizzati»
«L’università italiana non è chiusa, come qualcuno vuole farci credere. Le attività negli atenei proseguono e le proteste che si stanno mettendo in atto in alcuni di essi non devono interferire con la possibilità degli studenti di fare lezione». Una precisazione che Patrizio Castelli, professore della facoltà di medicina, ha ripetuto più volte a margine della presentazione della nuova stagione concertistica dell’università dell’Insubria. «Come una grande famiglia l’università, anche nel nostro paese, deve mettere in relazione la sua gestione finanziaria con quanto produce. È quello che sta cercando di fare il ministro Gelmini con la riforma degli atenei. I due aspetti oggi come oggi non sono più paralleli e questo va regolato». Il riferimento del professor Castelli non è limitato all’Insubria ma al sistema universitario italiano in generale: «Per quanto riguarda i ricercatori – ha aggiunto – il problema cambia da facoltà a facoltà. Come in tutte le cose esiste una piramide: in Italia si è affermata la consuetudine che anzianità e carriera vanno di pari passo. Questo non può funzionare, è sbagliato e deve cambiare. Solo così si vanno realmente a toccare quelli che vengono etichettati come "baroni". Gli attuali ricercatori, quelli già assunti, non saranno interessati dalla riforma e se si rifiutano di fare didattica perché questa non gli viene riconosciuta gli atenei non si bloccheranno comunque: saranno sostituiti dai professori, che devono svolgere le ore di lezione previste dai propri contratti. Non vorrei infine che i ricercatori vengano strumentalizzati per difendere altri interessi, non è un caso che la loro protesta sia appoggiata proprio da quelli che vengono definiti i "baroni"».
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