Addio a Enzo Bearzot, l’eroe del Mundial di Spagna
È morto il tecnico friulano che nel 1982 guidò gli azzurri alla terza vittoria iridata. Memorabile la sua pipa che fece il paio con quella del presidente Pertini
Si è spenta per sempre la proverbiale pipa di Enzo Bearzot. Il commissario tecnico della nazionale di calcio che nel 1982 conquistò uno storico trionfo mondiale è morto stamattina – martedì 21 dicembre – all’età di 83 anni.
Friulano di Aiello, piccolo paese in provincia di Udine, Bearzot ha prima messo assieme un’onorevole carriera da calciatore, vestendo soprattutto le maglie di Torino e Inter e arrivando in un’occasione a vestire la maglia della nazionale. Proprio quell’azzurro con cui, da tecnico, Bearzot ha fatto la storia dopo un breve periodo nelle squadre di club (Prato e ancora Torino).
In un’epoca dove la federazione cresceva i suoi allenatori in casa, il mister friulano iniziò a lavorare con l’under 23 dove iniziò a "incrociare" alcuni di quei campioni che poi sarebbero diventati i perni della nazionale maggiore, sulla cui panchina arrivò dopo il fallimentare mondiale di Germania del ’74. Prima ci fu la convivenza con Fulvio Bernardini, poi – dal ’77 – divenne commissario unico in vista del mondiale d’Argentina. In Sudamerica ci furono le prove generali per il trionfo del 1982: Bearzot si presentò con una squadra giovane, frizzante, capace di battere i padroni di casa che poi vinsero in finale davanti ai Generali che vollero quel campionato a tinte dittatoriali. Il mondo conobbe Rossi, Bettega, Cabrini, Scirea e altri esponenti di una squadra destinata a entrare nella leggenda che in quell’occasione chiuse al quarto posto.
IL MUNDIAL ’82 – In Spagna non furono tutte rose e fiori, anzi. La spedizione azzurra perse l’infortunato Bettega prima di iniziare e partì con qualche polemica per l’esclusione di Pruzzo. La squadra tentennò in un girone tutt’altro che difficile, con i tre pareggi contro Polonia, Camerun e Perù: la critica azzannò Bearzot e i suoi che reagirono con un "quasi" silenzio stampa in cui il capitano e fedelissimo Dino Zoff – non certo un chiacchierone – divenne l’unico giocatore autorizzato a parlare.
Dopo il girone però l’Italia spiccò il volo: il ritorno al gol di Rossi, che da lì in poi divenne l’eroico Pablito, permise di abbattere Argentina (2-1), Brasile (3-2) e in semifinale la Polonia (2-0) orfana di Boniek. Il gran finale è storia: nella notte del Santiago Bernabeu e di fronte all’altra "pipa più famosa d’Italia", quella del presidente Pertini (nella foto, tratta dal web), gli azzurri (pur privi dello squalificato Antognoni) demolirono la Germania Ovest con le reti di Rossi, Tardelli e Altobelli, prima del definitivo 3-1 di Breitner. L’Italia tornò sul tetto del mondo a 44 anni di distanza dall’ultima volta: da brividi – per semplicità e schiettezza – la famosa partita a carte in aereo tra Bearzot, Pertini, Causio e Zoff con la coppa d’oro sul tavolino.
Il trionfo spagnolo e la sua memoria non vennero offuscati neppure negli anni seguenti, tutt’altro che esaltanti per gli azzurri. Esclusa dall’Europeo ’84 l’Italia si affidò ancora a Bearzot per i Mondiali del Messico ma la spedizione andò male: la riconoscenza agli eroi di quattro anni prima e il mancato ricambio generazionale portarono a un solo successo (3-2 con la Corea del Sud, doppietta dello scatenato Altobelli) e all’eliminazione negli ottavi per mano della Francia di Platini. Dopo quell’esperienza il Vecio lasciò l’incarico di c.t. e di fatto disse addio alle panchine ufficiali: in azzurro ne collezionò ben 104, record tuttora imbattuto. Lasciato il calcio allenato, Bearzot si è ritirato a vita privata e la sua voce si è sentita raramente in un mondo che non era più il suo: in quelle poche occasioni però il tecnico non ha mancato di dire la sua opinione, sempre schietta, talvolta scomoda, mai polemica. Una voce intelligente che ci mancherà.
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