Piazza, platea, orchestra e vertici del Teatro uniti nella protesta

Daniel Barenboim ha diretto in modo impeccabile La walkiria, ma prima dell’inno nazionale di rito ha letto un comunicato al Presidente della Repubblica, ricordando l’articolo 9 della Costituzione: “La repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”

Daniel Barenboim ha condotto in porto con mano sicura La walkiria che ha inaugurato la stagione 2010/2011 del Teatro alla Scala. Era difficile, del resto, fallire il bersaglio, visto il cast di questo 7 dicembre. Il direttore israeliano ha tratteggiato un Wagner energico ed incisivo (due esempi: l’attacco deciso e robusto in apertura di sipario e la cavalcata delle walkirie nel terzo atto) ed insieme intriso di un lirismo dolcissimo, che ricordava le atmosfere del suo Tristan und Isolde scaligero del 2007. E come in quel Tristan il lirismo si è sostanziato nella splendida voce del soprano Waltraud Meier, una delle interpreti wagneriane più grandi dell’ultimo ventennio, capace di rendere i turbamenti di Sieglinde con una verità scenica impressionante. Ad assecondarla l’ottimo Simon O’Neill, un Siegmund dalla ricca paletta espressiva. Eroica come deve la Fricka del mezzosoprano Ekaterina Gubanova e soprattutto la Brünnhilde del soprano Nina Stemme, giustamente minaccioso – ma senza forzature timbriche – l’Hunding del basso John Tomlinson, più statico il Wotan del basso Vitalij Kowaljow, anche se apprezzabile per la tecnica e la potenza della voce.

Sono note stese a ridosso della conclusione della prima, che andrebbero meditate con calma. Soprattutto andrebbe meglio valutata la regia di Guy Cassiers, che per la Scala ha già firmato L’oro del Reno la scorsa primavera e che anche in questa Walchiria ha dispiegato tecnologie da fantascienza, con immagini che raddoppiavano e commentavano sullo sfondo l’azione dei personaggi, colori accesi e innaturali (il verde del secondo atto) ed un affastellarsi di simboli, come la foresta di spade ancora nel secondo atto ed un misterioso globo ruotante, i quali non erano sempre in sintonia con la gestualità ingessata dei protagonisti. Certo, le riprese televisive non aiutavano nella comprensione, visto l’insistenza sui primi piani quando la regia di Cassiers è tutta giocata sul contrasto tra ciò che sta davanti e ciò che sta sullo sfondo. Però lo spettacolo nel complesso è sembrato funzionare. A funzionare alla perfezione sono stati il coro e l’orchestra della Scala, modellati da Barenboim con mano attenta alle molteplici sfumature di una partitura labirintica ed ambigua.
Fuori dalla Scala c’erano le consuete contestazioni a contorno di ogni prima, dentro il Teatro, invece, è successo qualcosa di inedito: una contestazione corale, con Barenboim che prima di eseguire l’inno nazionale di rito ha letto un comunicato al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ricordando l’articolo 9 della Costituzione: “La repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”. La platea ha ascoltato senza scomporsi, anzi qualcuno ha gridato “viva il Presidente” e non c’erano dubbi a quale presidente si riferisse. Non si era mai vista alla Scala una protesta che unisse piazza, platea, orchestra e vertici del Teatro: è un 7 dicembre che suona come un requiem per la politica culturale di questo governo in agonia.
Vista l’aria che tirava comprendiamo bene l’assenza del ministro Bondi. Invece comprendiamo meno l’assenza dal web di RAI 5, il nuovo canale satellitare RAI, che dopo aver sbandierato ai quattro venti, durante l’ultima settimana, la sua apertura, non era visibile in streaming. O meglio, si vedeva la pubblicità, poi compariva un messaggio che aveva l’aria di una presa in giro: “Siamo spiacenti, questo programma non è disponibile su RAI TV”. Si poteva vedere sul digitale terrestre, dove però catturare la frequenza tra una risintonizzazione e l’altra è sempre un terno al lotto. Era davvero così complicato rendere accessibile questa prima anche sul web?
 
 

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Pubblicato il 08 Dicembre 2010
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