Auguri Italia!
L'Editoriale della Voce degli Studenti realizzato dal caporedattore Stefano
150 anni. Che dire? Bene. Forse auguri, auguri Italia. Centocinquanta anni di unità nazionale fanno del 2011 un anno speciale, eppure non riesco a commentare questo compleanno che con un “auguri”. Una parola vuota, formalmente sterile, finalmente non retorica, forse superflua o troppo poco sentita, ma di fatto è l’unica che mi viene da dire. Sarà che non sento questo avvenimento come qualcosa di entusiasmante, né come un traguardo, né come un punto di partenza per il mio paese. Già troppi versi, inni, romanzi, canzoni, racconti, battute, elogi, insulti, fischi sono stati spesi per l’Italia, nata tardi e male, unita grazie agli sforzi di tanti giovani ammirevoli che ci credevano veramente. Carducci o D’Annunzio (per citarne solo alcuni) potevano ancora credere al mito della patria; l’Italia era appena stata unita ed era necessario enfatizzare un’impresa che nessuno avrebbe ritenuto fattibile: riportare sotto un unico sovrano quel miscuglio di genti, lingue e culture che, come “espressione geografica”, si chiamava Italia. Ma oggi io non mi sento di dire che questo è il più bel paese del mondo.
Molti dicono che è la cultura il mezzo di unificazione del paese, una cultura secolare, densa di idee e impregnata di storia, anzi, dettata proprio dalla storia. Si cerca di definire l’identità nazionale come comunanza di lingua, cultura, modo di pensare e di agire. Per i 150 anni saranno aperti musei sul Risorgimento, ci saranno celebrazioni ufficiali con alte rappresentanze e tutti intoneranno l’inno di Mameli in versione integrale. Però, anche questo anno finirà e tra qualche mese nessuno si ricorderà più l’inno di Mameli in versione integrale. Quello che rimarrà, sarà la sbronza dell’anno dopo. Sarà come una domenica pomeriggio. E il debito pubblico riprenderà a salire, la disoccupazione aumenterà, il costo della vita incrementerà, la corruzione continuerà, il razzismo accentuerà i suoi toni, la criminalità non cesserà di esistere. Aspettando il prossimo anniversario tra 50 anni. Tutto, fatta eccezione per i programmi televisivi in prima serata, ritornerà come prima.
Oggi l’Italia è un paese malato che con dar volta suo dolore scherma, e arranca faticosamente, tappando i buchi e trascurando i problemi, vivendo un presente incerto e guardando con nostalgia alla grandezza del passato, con i suoi eroi e la sua arte. Ma riflettendo sul suo significato, è sbagliato ricondurre la nostra identità nazionale alla cultura: la letteratura non serve a nulla se da essa non si impara a pensare con la propria testa; dell’architettura possiamo fare a meno, se non capiamo che bisogna rispettare la natura; della musica non abbiamo bisogno, se non siamo spinti a ricercare il bello. Tutto quello che è stato, fa parte del nostro bagaglio culturale e un bagaglio non è quello che siamo, né lo scopo della nostra vita. Un bagaglio serve a viaggiare, a guardare avanti, ad affrontare ogni giorno sperando che quello dopo sia migliore. Certo, ci si può immergere nella cultura, ma per riemergere più consapevoli del proprio avvenire. Ecco, manca il futuro, la vera identità nazionale. La speranza ci è stata tolta. Festeggiamo orgogliosi l’anniversario dei 150 anni, perché in realtà temiamo che sia l’ultimo.
Stefano Gariglio 5A
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