Giappone a tavola, il sushi è sicuro

Il gestore del Také di Gallarate rassicura la clientela dopo l’emergenza nucleare: “Paure ingiustificate, nessun ingrediente contaminato”

La psicosi collettiva colpisce ancora: dopo il morbo della mucca pazza, l’influenza aviaria e quella suina questa volta tocca all’incubo nucleare, che rischia di modificare a sua volta (sia pure in misura minore) le abitudini alimentari degli italiani. E in particolare dei varesini, per i quali la cucina giapponese è in cima alla lista delle preferenze quando si tratta di mangiare fuori: basta guardare i risultati del nostro concorso EatOut Awards, nel quale, su dieci ristoranti etnici selezionati dai lettori, ben quattro propongono i piatti tipici del Sol Levante.
 
L’allarme sulla possibile contaminazione dei cibi provenienti dal Giappone, accompagnato come sempre da una buona dose di disinformazione, si ripercuote in questi giorni anche sulla ristorazione di settore: la clientela diminuisce sensibilmente e c’è chi si avvicina timoroso in cerca di informazioni. A rassicurare gli amanti della cucina nipponica ci pensa Flavio Destito, che insieme ad altri soci gestisce il ristorante “Také” di Gallarate: «Ogni paura è ingiustificata: sushi e sashimi restano piatti altamente sani, dietetici e salutari da tutti i punti di vista. Quella a cui stiamo assistendo è una psicosi senza alcuna ragion d’essere». E che non ci sia nulla da temere lo dimostra innanzitutto la provenienza degli ingredienti base: ormai non c’è più quasi niente che arrivi direttamente dall’Estremo Oriente. «Il pesce – spiega Destito – è interamente allevato in Europa: nel nostro ristorante usiamo solo salmone scozzese biologico, mentre il tonno viene dal Mediterraneo o dall’Oceano Indiano, i branzini dagli allevamenti in Italia e in Grecia e il gambero rosso dalla Sicilia. Il riso per il sushi viene coltivato nel vercellese, le birre sono prodotte in  licenza in Inghilterra, Repubblica Ceca o Russia, e per quanto riguarda la soia Kikkoman, il principale marchio giapponese, ha ormai spostato la produzione a Dusseldorf. Nel nostro ristorante lavoriamo in assoluta trasparenza, e siamo pronti a mostrare a chiunque i nostri prodotti per verificarne la provenienza e la data di scadenza». Il problema, quindi, riguarda soltanto alcune materie prime, come le alghe nori e le farine per il tempura: «Per portarle in Italia – spiega Destito – ci vuole comunque un mese di navigazione, e quelle che abbiamo oggi sono arrivate ben prima dell’11 marzo (giorno del terremoto che ha colpito il Giappone nord-orientale)».
 
Dal momento degli incidenti alla centrale di Fukushima, infatti, ogni importazione di prodotti dal paese del Sol Levante è totalmente bloccata: «Bisogna sottolineare – continua il gestore del Také – che per importare da un paese esterno alla comunità occorrono le licenze di importazione ed esportazione, quindi, con il divieto attualmente in vigore, è escluso che possano arrivare in Italia alimenti giapponesi. Per ora non ci sono problemi di approvvigionamento: le scorte dureranno ancora 3 o 4 mesi, e se dovessero esaurirsi non mancano le alternative valide. Ad esempio per le alghe ci si può rivolgere alla Corea, alla Cina o agli USA». Tutto questo solo a titolo precauzionale, dato che si parla sempre di contaminazione eventuale: «Non dobbiamo sottovalutare la portata di quanto avvenuto – conclude Destito – ma neppure dimenticare che la zona interessata dall’incidente nucleare è circoscritta in un raggio di 40-50 km, mentre il Giappone si espande su quasi 2000 km di territorio». Meglio quindi mettere da parte gli eccessivi timori e tornare con fiducia a impugnare le bacchette: il cibo giapponese è ancora una sicurezza.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 25 Marzo 2011
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