Diecimila contratti di lavoro di un solo giorno. È il trionfo del precariato

In provincia di Varese nel 2011 sono state avviate al lavoro 102.186 persone, mentre hanno cessato di lavorare in 104.962 . Nidil -Cgil: «L'80% dei contratti sono atipici». Flop dei contratti di apprendistato solo il 2,9% del totale

Con 46 tipologie diverse di contratti di lavoro è difficile fare un identikit preciso del lavoratore precario. Nemmeno il sindacato è in grado di tracciarlo con esattezza. C’è solo un momento in cui si materializza davanti ai sindacalisti ed è quando il lavoratore entra in conflitto con il proprio datore di lavoro. A quel punto, il timore di perdere il posto – unico freno alla sindacalizzazione del lavoratore -cessa di essere una paura per tramutarsi in realtà. Ecco perché il Nidil (Nuove identità del lavoro), la categoria della Cgil che si occupa di questi lavoratori, «è la più infruttuosa». C’è un altro elemento che, secondo Franco Stasi, segretario provinciale della Cgil, contribuisce nel rendere “invisibile” questa categoria di lavoratori: la mancanza di un dato certo.
La Camera del Lavoro di Varese ha provato a mettere insieme le cifre che arrivano dall’Inps, dalla Camera di Commercio e dall’Ufficio provinciale del Lavoro. Il risultato (approssimato per difetto) è che nel 2011 sono stati quasi diecimila i contratti della durata di un solo giorno. «Se li traduciamo in posti di lavoro stabili – commenta Stasi – equivalgono a meno di 40 posti di lavoro. Quando si parla di riforma del lavoro non si puo’ tener conto di questa situazione che si somma alla disoccupazione giovanile, ormai alla soglia del 36 %».
In provincia di Varese nel 2011 sono state avviate al lavoro 102.186 persone, mentre hanno cessato di lavorare in 104.962 . Un saldo negativo preoccupante, sicuramente amplificato dalla crisi, ma che trova conferma nella caduta libera delle assunzioni a tempo indeterminato che sono state 19.922, meno del 20 % del totale. «Il restante 80 % dei contratti di lavoro stipulati sul territorio – spiega Francesco Vazzana, segretario provinciale del Nidil – sono contratti atipici che non danno alcuna garanzia. Tipologie come l’associazione in partecipazione o il lavoro a chiamata generano lavoro nero. Da noi vengono lavoratori che hanno venti ore in busta paga, quando ne fanno molte di più senza i contributi versati».
Il 10 maggio sarà la “Giornata nazionale contro la precarietà” e, a guardare i numeri, le piazze dovrebbero essere piene di manifestanti. Il condizionale però è d’obbligo, perché se c’è una caratteristica di questi lavoratori è la mancanza di «coscienza di classe», come direbbe un vecchio marxista. Insomma, ognuno si fa i fatti suoi e ricorre alle cure del sindacato solo quando si rende conto che il proprio posto di lavoro si squaglia non appena c’è la rivendicazione di un diritto basilare, come ad esempio la paga minima oraria.
I dati pubblicati dalla Cgil rivelano anche il grande flop dei contratti di apprendistato che ammontano ad un misero 2,9% del totale. Quella che in teoria doveva essere la tipologia contrattuale privilegiata per l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, si è invece dimostrata un’arma spuntata, mentre il più utilizzato è il contratto a tempo determinato, oltre il 60%, dei quali il 30% è costituito da contratti in somministrazione, ovvero interinali, e il 10% da contratti di una sola giornata.
«Occorre ridurre drasticamente le tipologie contrattuali – conclude Vazzana – e rendere universali le garanzie a partire dagli ammortizzatori sociali. Ad esempio le lavoratrici delle palestre o dei centri fitness se rimangono incinta non hanno alcun diritto legato alla maternità, perché è la stessa legge sulle attività sportive dilettantische che lo stabilisce. L’introduzione dell’Aspi (assicurazione sociale per l’impiego, ndr) non aiuterà perché la maggiore contribuzione servirà per i contratti più garantiti e farà diminuire le retribuzioni nette dei precari».

IL CASO

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Pubblicato il 10 Maggio 2012
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