Omicidio D’Aleo, Italiano si difende: “Io vittima”

L'imputato per l'omicidio di Salvatore D'Aleo, ucciso nel 2008 e ritrovato 4 anni dopo, ha parlato in aula e ha prodotto un suo memoriale. Collegato da L'Aquila il superboss Crocifisso Rinzivillo

Il processo a Emanuele Italiano, accusato dell’omicidio di Salvatore D’Aleo, ucciso il 2 ottobre del 2008 nei boschi di Vizzola Ticino e ritrovato solo 4 anni dopo è proseguito questa mattina, martedì, con l’escussione dei testi della difesa e dello stesso imputato. In videocollegamento dal carcere de L’Aquila ha parlato anche il boss Crocifisso Rinzivillo, arrestato nell’ambito dell’operazione Tetragona del 2011 che ha smantellato completamente il clan nisseno dei Rinzivillo-Emanuello. L’esponente gelese di cosa nostra ha risposto alle domande della’avvocato Alberto Talamone e dell’accusa non senza qualche resistenza. Dalle sue parole si è compreso che Rosario Vizzini «ha detto un sacco di menzogne, non mi risulta che nè lui, nè Nicastro siano uomini d’onore – ha detto Rinzivillo – ve lo dice uno che è stato condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso».

Il boss siciliano ha anche detto di aver conosciuto Emanuele Italiano ma di non averlo mai incontrato a Roma e di non essere a conoscenza di una sua affiliazione a cosa nostra; Rinzivillo ha anche negato che gli incontri con Vizzini e Nicastro non erano altro che visite di piacere da parte dei due boss bustocchi e che tra di loro non erano in corso "affari" di alcun tipo. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, invece, Crocifisso Rinzivillo (detto Gino) era il terminale ultimo del flusso di danaro ricavato dalle estorsioni e dal traffico di droga a Busto Arsizio. La testimonianza del capofamiglia gelese, dunque, era finalizzata più a difendere se stesso che l’imputato per il quale è stato chiamato a testimoniare. L’obiettivo di Talamone, invece, era proprio quello di dimostrare la grande distanza tra il duo Vizzini, Nicastro (entrambi pentiti e accusatori di Italiano) e il suo assistito: «Da quello che sappiamo Italiano era stato affiliato alla nuova camorra organizzata (l’organizzazione camorristica che negli anni ’80 faceva capo a Raffaele Cutolo, ndr) e per questo non poteva essere ben visto da due affiliati alla mafia».

Infine ha parlato Emanuele Italiano il quale ha anche prodotto un proprio memoriale. Italiano è stato incalzato dal pubblico ministero Giovanni Narbone che ha contestato l’alibi sostenuto dall’imputato che ha dichiarato di essere stato a cena, con la fidanzata di allora, al ristorante "Il Sole d’Oro" di Busto Arsizio nelle ore in cui si è stabilito sia stato ucciso Salvatore D’Aleo. Secondo Narbone chi ha un alibi e viene messo in galera non aspetta diversi mesi prima di dirlo. Italiano, invece, sostiene di essere stato arrestato e privato della possibilità di sapere di cosa era accusato per diverse settimane. «Sono io la vittima in questo processo – ha detto l’imputato – perchè non c’entro niente».
Il processo, comunque, volge al termine e la prossima udienza del 19 marzo sarà dedicata alla discussione da parte del pubblico ministero Narbone e relativa richiesta di pena.

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Pubblicato il 26 Febbraio 2013
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