Nei documenti della famiglia Cemal la memoria del popolo armeno
Quello di Hasan Cemal sul genocidio degli armeni è molto più di un saggio. La scrittrice sestese Rossana Girotto racconta la storia e l'importanza di questo libro
In questa epoca punteggiata da anniversari, ricorrenze e giorni della memoria, che sembrano non insegnarci più nulla, il 24 aprile resta una data poco conosciuta. Eppure si tratta del giorno della memoria di quello che è stato giustamente definito il "prototipo dei genocidi del ventesimo secolo", l’esempio perfetto della distruzione il più possibile completa di un gruppo etnico da parte di uno Stato, il primo capitolo di un secolo sanguinario: il genocidio del popolo armeno.
Se ne è parlato più frequentemente negli ultimi anni, in rapporto alla richiesta della Turchia di entrare a far parte dell’Unione Europea e dopo che il presidente Obama, nel 2010, sottolineò la necessità di un riconoscimento ufficiale. Nonostante la presenza di storici negazionisti, esistono documenti che dimostrano che il governo turco abbia pianificato l’eliminazione fisica del popolo armeno.
Il genocidio armeno è estremamente importante per la storia, ahimè, non solo per un motivo cronologico, ma perché si trattò di una distruzione "scientifica" di un popolo da parte di uno Stato, quello turco, che si rivelò un tragico esempio e un elemento di ispirazione per il futuro.
L’ignoranza generale riguardo a questo genocidio è dovuta principalmente a due fondamentali fattori: la fase finale dell’ operazione di sterminio fu condotta in piena Guerra Mondiale (1915), situazione in cui azioni militari e perdite di vite umane potevano essere meglio mascherate; in più, le potenze occidentali hanno sempre riconosciuto alla Turchia un importante ruolo di baluardo e contenimento, prima verso l’integralismo islamico e poi verso l’imperialismo comunista sovietico.
Il popolo armeno è un popolo antico: giunse intorno al VII secolo a.C. nel territorio situato a sud del mar Nero, in una zona montuosa e fertile, e dalla posizione strategica di porta verso l’Oriente. Pertanto l’Armenia è una regione che ingolosisce tutti i popoli dominatori vicini: greci, romani, arabi.
Gli armeni sono il primo popolo a diventare cristiano, nel 299 d.C., mentre nell’Impero Romano si preparava la persecuzione di Diocleziano.
Quando l’Impero Ottomano occupa la parte occidentale dell’Armenia, gli armeni diventano cittadini
di un impero plurinazionale che, benché di maggioranza musulmana, si dimostra tollerante verso le minoranze cristiane, rispettandone lingua e cultura, prevedendo però una condizione di inferiorità nel campo dei diritti civili. Cristiani ed ebrei, quindi, non possiedono terre proprie, pagano più imposte e, di fronte alla Sharia – combinazione di legge civile e religiosa basata sul Corano – si rivelano cittadini di classe inferiore che non hanno il minimo accesso alla vita politica dell’Impero.
Nonostante questa situazione non corsero mai nessun rischio, ma quando l’Impero ottomano cominciò ad entrare in una lunga crisi fiorirono da ambo le parti sentimenti nazionalisti ispirati dall’irredentismo europeo, gettando il seme del razzismo dal quale sarebbe nato il genocidio.
I primi massacri avvengono nel 1835, seguiti da altri nel 1894, fino alla notte tra il 23 e il 24 aprile 1915 in cui 2345 notabili armeni di Costantinopoli vennero arrestati con tutta l’élite intellettuale (scrittori, giornalisti, poeti come Daniel Varujan,) deportati verso l’interno dell’Anatolia e massacrati lungo il percorso.
Proprio dalle poesie di Daniel Varujan, riunite in raccolte come “Mari di Grano” e “Il Canto del Pane” (edizioni Paoline) trovato nelle tasche del poeta quando il corpo senza vita venne restituito alla famiglia, che possiamo venire a contatto con il popolo armeno e le sue vicende.
Medz Yeghern, il Grande Male, fu celato agli occhi del mondo negli anni a seguire dai governi turchi, ma è proprio grazie alla letteratura che ritorna a noi attraverso testimonianze e racconti, come nel libro di R. Stainville pubblicato nel 2008 dalle Edizioni San Paolo, tratto dal diario di un missionario francescano testimone dell’eccidio di Pasqua nel 1909. Noi italiani ne abbiamo sentore grazie ai romanzi di Antonia Arslan, come la “Masseria delle allodole” ed al film che se ne è tratto.
Qualcosa però ora sta cambiando, nella stessa Turchia, e la notizia è importantissima: il giornalista Hasan Cemal, redattore del quotidiano Milliyet e nipote del generale Achmed “Pasha” Cemal, il pianificatore (ovvero la mente, e il braccio) del genocidio durante la prima guerra mondiale, ha scritto un libro che ammette in toto la realtà da sempre negata dai turchi, utilizzando i documenti di famiglia. La cosa incredibile, che fa ben sperare, è che le autorità turche non hanno preso alcun provvedimento, in un Paese in cui nel codice penale esiste un articolo che reprime ogni generica offesa all’identità turca e che viene quasi esclusivamente utilizzato per incriminare coloro che associano, in una stessa frase, le parole “armeni” e “genocidio”. Da oltre dieci anni la Comunità Europea chiede, inascoltata, l’abrogazione del suddetto articolo 301, la cui ultima vittima più famosa è il premio Nobel 2006 Orhan Pamuk.
La mancata condanna di Hasan Cemal, che ha intitolato il suo libro proprio “1915 Ermeni Soykirimi” ovvero “1915 il Genocidio Armeno” associando i due termini più pericolosi mai pronunciati degli ultimi cento anni, vuole forse significare che la Turchia ha preso la decisione epocale di infrangere silenziosamente questo tabù.
Il caso armeno è importante perché ci fa riflettere su una verità che tendiamo a dimenticare. Un popolo diventa possibile obiettivo di un genocidio quando si realizzano contemporaneamente due fenomeni paradossalmente contrari: al punto di maggiore debolezza e minoranza si somma un irrazionale atteggiamento ossessivo da parte di una maggioranza antagonista. Come nel caso degli ebrei, il genocidio si rivela possibile quando il bersaglio non è attrezzato a difendersi, non quando è potente o esercita una effettiva influenza nella società.
Il Grande Male infetta ancora l’Umanità, e ancora una volta è la Letteratura che offre la possibilità di una cura, attraverso la presa di posizione e il coraggio di uno scrittore. Hasan Cemal, viso aperto e sorriso disarmante, poteva rimanersene comodo dall’altra parte. Invece ha aperto i cassetti, ha preso la penna e dichiara : “negare il genocidio è rendersi complici di una crimine contro l’Umanità. Quello che successe nel 1915 non appartiene al passato, ma al presente. Possiamo trovare la vera Pace soltanto facendo pace con la Storia, quella vera, quella emersa dai documenti e dalle lettere di mio nonno, una Storia non più inventata, o alterata”.
Attendiamo ora la traduzione, in inglese o francese, in primis, di questo libro importantissimo che potrà farci riappacificare con un altro pezzo di Storia, e con la nostra stessa essenza di Esseri Umani.
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