Dalla Transilvania, tutti i misteri del blues

Intervista esclusiva a Lucian Ban in occasione del suo ultimo cd pubblicato per la Ecm di Manfred Eicher.

“Transylvanian concert”, l’ultimo cd di Lucian Ban (pianoforte) e Mat Maneri (viola) prodotto dalla Ecm è una proposta, del tutto esclusiva, di libertà. Si tratta di quella musica – “quella” perché è blues, jazz, classica e contemporanea: George Enescu, Ligeti e Velvet Underground insieme – inconfondibile e sarcastica. Nata in Europa e caduta nel bel mezzo degli Stati Uniti – New York City – come una schiacciata nel campionato Nba. Come lo era il jazz, meno drammatico, di Gil Evans, «il compositore più blues della storia», afferma Ban. L’artista che «con i dischi “Gil Evans plus Ten”, “New Bottle Old Wine” e “The Individualism of Gil Evans” inaugura un nuovo modo di comporre e lo misura sulla tromba di Miles Davis». Il blues, quindi: «Un’emozione che si fa mezzo privilegiato per poter capire e mettersi in contatto con le emozioni vitali attraverso i suoni». Questo è ciò che pensa della musica il pianista Ban. Coinvolto nella ricerca e nella rivisitazione di un blues che in Romania prende il nome di “Doina”, «canzoni tristi e dolenti di incredibile bellezza» con le quali interrogarsi sui significati della musica. Perché la musica ha le sue ragioni, «e in caso contrario ci si dovrebbe chiedere perché gli uomini cercano di esprimere loro stessi attraverso di essa». Musica, quella di Ban e Maneri, che sorprende e non lascia mai indifferenti attraverso quella cortina di «silenzio che é esso stesso una fonte di sorpresa. In tutto questo, ciò che pensa il pubblico non è importante».

“Not that kind of blues” é il titolo del brano che apre il tuo ultimo cd per Ecm: “Transylvanian Concert”. Che genere di blues preferisci?

«Mi piace qualsiasi tipo di blues, anche se non “é di quel tipo”. Questo titolo lo si deve al fatto che il brano presenta una forma e una struttura irregolari: io e Mat ci siamo presi qualche libertà con il suo schema. Il blues, così come lo conosciamo, ha le sue origini nel jazz statunitense ma è anche presente in ciò che facciamo e nelle tinte che diamo al nostro lavoro».
In “Transylvanian Concert” penso che tu abbia voluto scoprire il mistero del blues, quel senso di dramma che avvolge l’anima: come?
«Questo è una buona intuizione, perché io considero la musica come un qualcosa di misterioso. Guardo a me stesso e ai musicisti, infatti, come medium che si mettono in relazione con la musica. L’idea di poter capire la musica o controllarla completamente appartiene al mito: possiamo solo sforzarci di afferrare i suoi misteri. E questo è lo sforzo mio e di Mat: afferrare ciò che nella musica ancora non si conosce».
Come si può trattare il blues nella musica contemporanea?
«Ad ispirami è stato George Enescu, compositore e genio rumeno sottovalutato. Tempo fa registrai un progetto con alcune sue musiche per la Sunnyside Records e con 7 musicisti provenienti da New York: Tony Malaby, Ralph Alessi, Gerald Cleaver, Badal Roy, Mat Maneri…Scoprii che la sua musica era completamente aperta all’improvvisazione e ad un certo senso del blues. Se ascolti la sua prima sonata per pianoforte in fa diesis minore op. 24 – il terzo movimento, Andante – ti accorgi che somiglia ad un blues rurale uscito direttamente dal Sud degli Stati Uniti. Ovviamente, il blues può essere rivisitato o reinventato, perché come dico spesso è un’emozione che farà sempre parte della musica».
Cosa ti piace di più di Mat Maneri?
«La prima volta che ascoltai Mat fu con la band di Paul Motian al Vanguard di New York: mi mise immediatamente al tappeto con il suo suono e quel suo modo di pensare. Mat non suona come un violista ma come un sassofonista o un trombettista: il suo vibrato è favoloso. La cosa più importante, però, è il concetto sul quale Mat costruisce il suono: sa quando non deve suonare e quando lo fa, invece, è di una freschezza al di fuori del comune. Un artista veramente originale».
Perché un cd per soli piano e viola?
«Per l’alchimia e il suono che otteniamo quando io e Mat suoniamo insieme. Quando presentammo per la prima volta il progetto su Enescu, misi una nota su di una partitura: “Piano & viola open improvisation”. Una volta partiti mi sentii così bene che entrambi decidemmo di approfondire quella sensazione meravigliosa. Sono felice di averlo fatto, perché ora abbiamo un sacco di ottima musica e un cd per la Ecm».
È possible parlare di “jazz da camera”, come si fa nella tradizione della musica classica?
«Definitivamente: uno fra i miei album preferiti é “Chamber Music of New Jazz” di Ahmad Jamal, un piccolo capolavoro come lo é la musica di Mozart. Poi c’è il Trio di Jimmy Giuffre con Paul Bley e Steve Swallow registrato per la Verve nel 1961. Questi album sono stati alla base dell’avventura di Manfred Eicher e della sua etichetta, la Ecm. E poi che dire dei grandi trio di piano jazz: è musica da camera al più alto livello!».
La musica salverà il mondo?
«Non penso, anche se Dostoyevsky affermava che la “bellezza salverà il mondo”. La musica é senza dubbio bella, quindi potrebbe anche salvarlo».

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Pubblicato il 21 Giugno 2013
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