Un “energy noir” in arrivo dai laghi

Conversazione alla scoperta di Federico Tavola, autore di ‘Che bella Vita, 2011’, e del nuovo ‘Ucciderai corrotti e infedeli’, 2013 (Mursia)

federico tavola aperturaDare una definizione del genere al quale appartiene un libro non è sempre facile. Nel caso dei due romanzi di Federico Tavola (nato nel 1976 a Lecco) è ancora più difficile. Si mescolano giallo, noir, critica di note dinamiche sociali, scienza e molto altro.

Andrea Pinketts, nella prefazione di ‘Che bella vita’, lo definisce ‘energy noir’ e, terminata la lettura della sua ultima opera, "Ucciderai corrotti e infedeli" sarete sicuramente d’accordo con lui. Ha uno stile che non lascia concessioni alla retorica, asciutto ma non arido. E personaggi interessanti, che si ha voglia di ascoltare ( o meglio, di leggere), con alcuni ritratti molto divertenti, come Il notaio di Caronno Pertusella o lo skinhead di Mazzo di Rho, che mi hanno ricordato un po’ alcune figure profondamente e ironicamente lombarde di Piero Chiara.

Federico Tavola ha un percorso di formazione interessante. Fino alla pubblicazione del primo romanzo, era ricercatore di fisica all’Università Statale di Milano. Per dieci anni ha insegnato e si è confrontato con l’ambiente accademico. «Mi piaceva moltissimo. Il rapporto con i miei relatori, poi, mi ha insegnato tanto». Ma, nello stesso tempo, ha coltivato la passione per la scrittura «Fin da sempre, in realtà. Anche al liceo preferivo la letteratura (con una spiccata passione per l’humanitas latina di Terenzio), anche se poi ho deciso di studiare fisica». Così, un giorno si è fatta più forte l’esigenza di approfondire alcuni ragionamenti, comunicarli. La voglia di scrivere nasce anche perché qualcosa non ti piace e senti il bisogno di dirlo. «Così, nel giro di un anno, ero in libreria a presentare Che Bella Vita e a prendere le misure di quello che significa essere uno scrittore».

La sua visione della scrittura è chiara e molto personale. Mi spiega che secondo lui esistono due tipi di libri, quelli nei quali è più importante la storia e quelli in cui prevale il significato. I suoi romanzi appartengono alla seconda categoria: non ti interessa tanto sapere ‘come va a finire’, quanto quello che la storia vuole dire. Alla domanda classica, che si fa sempre, su come trova la sua ispirazione, Federico risponde «Lo definirei più un istinto. Voglia di dire delle cose. Ci sono giorni buoni in cui la scrittura viene con facilità, altri nei quali lavoro più sugli aspetti tecnici. Studio moltissimo, mi aggiorno: penso che ci debba essere una crescita, bisogna evolversi. Scrivere libri pù belli, mano a mano che si va avanti».

Ma la scintilla che fa scattare la voglia di raccontare, qual è?
«In poche parole, svelare che il re è nudo, alleviare una tensione sociale con il sistema. Dedicarsi al mistero dell’uomo. Uno dei miei autori preferiti è Ernesto Sabato, argentino, prima fisico e poi scrittore, che a 35 anni prese una decisione ‘abbandono la luce della scienza per abbracciare le tenebre della letteratura’. Io non scrivo per dare risposte, ma per porre dubbi. La verità non è della letteratura, secondo me».

E il famoso ‘metodo’ dello scrittore? Esiste o è un falso mito?
«Diciamo che non esiste un metodo vero e proprio, per quanto mi riguarda. Ci sono delle cose che mi aiutano. La musica, ad esempio, mi serve per entrare in risonanza con le emozioni. Ogni giorno mi sveglio ad un’ora diversa, faccio una colazione diversa. Non vivo una vita ordinata».
Alla domanda ‘quale scrittore avresti voluto essere’ non risponde con i soliti nomi classici e scontati, ma in maniera molto semplice. Mi dice: «Robert McLiam Wilson. Mi sarebbe piaciuto essere nordirlandese».  

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 18 Novembre 2013
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