Il suono della santità

Il libretto scritto da Davide Ielmini per la suite per pianoforte di Giovanni Nuti, "Il cantico delle creature", ispirata al “Cantico delle creature” di San Francesco e dedicata “a Papa Francesco, speranza e promessa di una chiesa povera e cristiana

Nel canto – di una voce o di uno strumento – a volte si nasconde il desiderio di urlare. Dire con l’intenzione di essere ascoltati oppure, semplicemente, di essere lasciati in pace. E relegare al silenzio – che mai è mutismo o arrendevolezza – il proprio messaggio. Più la musica contemporanea, anche quella di Giovanni Nuti (nella foto con Alda Merini), si materializza in questa nostra epoca e più tenta, così come nell’esperienza sonora di altri artisti, un riallineamento con ciò che l’uomo ha perduto: il senso di raccoglimento, l’intima battaglia tra paure inconfessate, la reiterazione di interrogativi senza risposta, la leggerezza che mai deve mancare all’anima e la coriacea resistenza di quei buoni sentimenti che fanno, da sempre, poesia. E poi il dolore – nel suo significato di mancanza, lontananza ma non di smarrimento – che in Giovanni si annuncia nella sua accezione più grande: essere umili non significa perdere, ma solo rimandare la vittoria a tempi migliori. In attesa che l’incanto ci ponga di fronte alle meraviglie che ancora ci riserva la vita.
Il canto e la poesia vivono di frammenti umani nascosti. Soprattutto quando si sceglie, come fa Nuti in veste di compositore neo-romantico ed Elena Papeschi in quella di “traduttrice” di questo immaginifico inventario musicale, di sviluppare un linguaggio che dalla semplicità sappia cogliere la forza e l’ingegno. Il “Cantico delle Creature” di San Francesco, che della purezza è l’espressione più compiuta, rappresenta al meglio questa scelta di apertura al mondo. Come lo sono gli impianti armonici di Nuti, sempre e insistentemente ancorati ad una armonia che gravita solida e sicura.
Così, la voce del pianoforte – in Elena – inspira ed espira. E’ un atto vitale tematico – tutto volto alla verticalità: come la Croce e la preghiera – abitato da accorati richiami alla ricerca di se stessi. E, forse, degli altri. Perché in Nuti, la musica deve specchiarsi nella linearità della struttura e della forma, ma mai nella povertà delle intenzioni. E proprio in questo si reinterpreta la lezione dei grandi operisti e dei miniaturisti vissuti tra Ottocento e Novecento. Di chi pone i mezzi tecnici – e brava è Elena Papeschi, che accompagna la melodia senza mai perderne la tonicità – al servizio della comprensione. Di chi ri-chiama, nelle note, la danza che appartiene ad esse con un ondeggiare ritmato che riconduce al ricordo di Chopin, Liszt o Morricone. E a quella malinconia che della musica è intima amica e condottiera.
Anja Lechner, violoncellista che alterna la musica classica all’improvvisazione, in una recente intervista ci disse che “Per vedere le stelle serve una certa oscurità”. Ecco, Nuti scrive come se dovesse riempiere il cielo di note. E allora, San Francesco – che alle parole del Cantico aveva anche abbinato un accompagnamento musicale purtroppo perduto – entra in questa musica con quell’innato senso di fratellanza (universale) della quale Nuti è da sempre attento lettore e interprete.

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Pubblicato il 12 Dicembre 2013
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