New York, una città energica ma lontana da quella dei film

Camilla racconta la sua esperienza a Manhattan, un quartiere che aveva tanto sognato ma che non sempre è quello che si vede in tv. Con i suoi pregi e i suoi difetti

Serena Van Der Woodsen e Blair Wooldorf non abitano più qui. Carrie Bradshow si è trasferita nel Village e le città filmate da Woody Allen sono diventate quelle europee. La Manhattan di Il diavolo veste Prada si è colorata di grigio, niente tacchi a spillo e vestiti d’alta moda, niente Holly Golightly a fare colazione in abito da sera davanti a Tiffany&co. Per me ora è come se esistessero due New York, una è quella che tutti noi televictim europei conosciamo, che amiamo, che sogniamo e vogliamo, una New York che nasce da vari film e telefilm, da libri e da racconti. E l’altra è quella vera.
La prima Manhattan è una sorta di mondo delle idee platonico, perfetta, immutabile nei suoi miti, non soggetta al tempo, senza errori. Mentre l’altra è come il mondo sensibile: si ispira alle idee, ma non le può riprodurre esattamente, le rispecchia, ma non ne coglie la perfezione, piuttosto presenta errori, imperfezioni: le strade sporche, i mendicanti, le orde di turisti irruenti, lo smog, le bancarelle che vendono di tutto agli incroci e sulle strade più trafficate, i suonatori ambulanti, gli alberi spogli e le recinzioni di Central Park.
Quando sono atterrata al JFK e ho preso un taxi, fremevo dall’eccitazione, perché, di li a poco, sarei entrata a fare parte di quel mondo che tanto affascina, me come tutti, con i grattacieli svettanti e scintillanti e le strade simili a delle passerelle di alta moda. Immaginavo persino che avrei preso parte agli intrighi di Gossip Girl, incontrato i veri protagonisti di quel mondo dorato e velenoso, così diverso e, allo stesso tempo, simile, per certi versi, al mio. Credevo che New York sarebbe stata affascinata da me, come io lo ero stata così tante volte da lei. Non avevo tenuto conto del fatto che io non ero mai stata ammaliata dalla vera New York, ma dal suo riflesso filtrato dei film, dalla sua gemella, molto più sparkling di lei. Ma soprattutto non avevo tenuto conto del fatto che i film non sono la realtà: la frammentano, la cambiano, ne mostrano alcune parti, alcuni luoghi, ne dissezionano dei tratti. E così avevano fatto con New York.
Central Park in piena estate, Madison Avenue e i suoi negozi, il Metropolitan senza bancarelle ne turisti, l’Empire State Building senza code, folla e negozi parassiti, alcuni punti dell’Upper East e West Side, alcuni quartieri del Village, il ponte di Brooklyn e il profilo della città notturna illuminata di luci, i locali più alla moda. Persino le persone più alla moda. Tutte cose che ci sono nella città, certamente, ma ne costituiscono una parte, una parte minoritaria, che deve essere accuratamente cercata per essere trovata. Non sono New York, ma un collage delle sue parti migliori.
Dopo una prima, profonda, delusione, mi sono resa conto che quello che volevo in realtà era ciò che non avevo mai avuto, le linee dritte, i tacchi alti di giorno, gli abiti costosi, e moltissime altre cose che, come non ci sono in Italia, non si trovano nemmeno qui. Io volevo la finzione.
Ma New York non è imbalsamata e rigida, è viva, pulsante di attività e energia; milioni di persone al giorno la attraversano, ne calpestano le strade e ne fanno la loro dimora. La città vive con i suoi abitanti, è un essere multiforme che cambia costantemente, che varia a seconda dei luoghi, un misto infinito di culture, tradizioni, stili di vita e architettonici.
Spazia da rigidi edifici minimalisti a contorti palazzi con elementi gotici e orientali, da mastodontici grattacieli a villette tipicamente europee, e da quartieri estrapolati dal sogno americano si è improvvisamente teletrasportati in Cina. A Chinatown i cartelli e le insegne sono in cinese sottotitolato in inglese, le strade e le vie popolate solo da orientali e poi puf! ci si trova a Wall Street, circondati da uomini e donne d’affari perennemente impegnati e di corsa.
Però ho incontrato alcuni luoghi dove l’iperuranio e la realtà si sono incontrati, provenendo, di volta in volta, dall’uno o dall’altro lato: per esempio l’Apple Store e Ground Zero, o in cima a una sordida e ripidissima scala della 40th street Midtown Comics o, per finire, il Roosevelt Memorial sull’isola in mezzo all’East River, che l’architetto Luois Kahn fa puntare come una freccia verso la sede dell’ONU. Lascio a voi decidere se erano idee che si facevano realtà o realtà che si facevano idee.

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Pubblicato il 10 Aprile 2014
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