“I Servizi segreti lavorano bene. Aspettiamo con fiducia”

Susan Dabbous è la giornalista italo-siriana rapita lo scorso anno in Siria mentre girava un documentario per la Rai. Venne liberata dopo 11 giorni. Non commenta la storia di Greta e Vanessa, ma spiega cosa succede in queste situazioni

“In Siria la situazione è fuori controllo, ma finora la Farnesina in quel paese, come in altri, ha svolto un ottimo lavoro. Le attività dei servizi segreti hanno raggiunto l’obiettivo di riportare a casa nostri concittadini. Dobbiamo aspettare fiduciosi”.


Susan Dabbous parla con u
na certa cognizione di causa. Non vuole commentare il caso specifico di Greta e Vanessa, ma conosce bene la Siria. È una giovane giornalista italo siriana ed ha vissuto la terribile esperienza del rapimento proprio nel suo paese d’origine.
Era il 3 aprile 2013 quando un commando la prelevò insieme con una troupe di tre operatori della Rai. Stavano girando alcune immagini di una chiesa sconsacrata a Ghassanieh, un piccolo villaggio cristiano vicino a Lattakia. La sua prigionia nelle mani di Jabhat al-Nusra, un gruppo legato ad al-Qaeda durò undici giorni. Un’esperienza durissima. Venne subito separata dai tre uomini e dalla loro guida, che si rivelò poi decisiva per la soluzione del caso. 
Ogni giorno poteva esser l’ultimo, anche per lei che era figlia di un siriano. Era accusata di essere una spia e di essere impura, di non aver seguito gli insegnamenti islamici. Una volta libera Susan decise di scrivere la sua storia. È nato così “Come vuoi morire?” edito da Castelvecchi, un racconto che ci permette di entrare nelle viscere della follia del fondamentalismo islamico, e di una guerra che sembra non poter aver più una fine.
L’abbiamo conosciuta a Reggio Calabria in un incontro sul rapimento di Giuliana Sgrena in Iraq e sulla morte dell’agente Calipari. Fu una buona occasione anche per parlare dell’attuale situazione siriana. Oggi siamo riusciti a rimetterci in contatto con lei per cercare di capire meglio alcuni aspetti del rapimento di Greta e Vanessa.
“Ho sentito la notizia del sequestro delle due ragazze. L’assenza di una rivendicazione iniziale è un fatto comune e a volte ci vuole veramente tanto tempo per attivare qualche contatto. Il nostro rapimento fu un caso anomalo e non rappresentativo perché i rapitori rilasciarono quasi subito la nostra guida. Lui si mise in contatto con alcuni nostri amici ,e da lì con la Farnesina che si attivò immediatamente”.

Come opera il Governo?
«La Farnesina predispone una unità di crisi che tiene i rapporti con le famiglie. Sul fronte operativo poi chi si muove sul campo sono i servizi segreti. Le prime fasi sono delicatissime e ovviamente molto riservate. Le notizie ai familiari vengono date solo se ben verificate. Ci sono uomini che lavorano direttamente nell’area di crisi, ma muoversi e attivare i contatti non è semplice. Quello che posso dire è che finora la Farnesina ha sempre svolto un ottimo lavoro. Si tenga conto che l’Italia, a differenza di altri, apre le trattative con i sequestratori».
 
Fonti interne al ministero oggi ci raccontavano la grande attività che l’Italia sta svolgendo proprio in questi giorni nei paesi mediorientali. Il sottosegretario Pistelli era a Gaza e in Iraq e la nostra diplomazia gode di una buona credibilità. Con questa anche tutta l’attività di intelligence che si muove in collaborazione con gli altri paesi alleati.

 
Tornando alla Siria,  le ragazze sono state rapite nei dintorni di Aleppo. Che situazione c’è in quell’area?
«Aleppo è spaccata in due come una mela. Da una parte ci sono le forze governative di Assad, dall’altra diverse formazioni islamiche: l’esercito siriano libero, il fronte islamico e Jabhat al-Nusra, un gruppo legato ad al-Qaeda. C’è una terribile lotta intestina per espellere l’Isis che opera ormai apertamente al di fuori di al-Qaeda per costruire uno stato libero dell’Iraq e del Levante. La situazione è completamente fuori controllo con scontri tra tutti».
 
Chi può aver rapito le ragazze?
«Come si fa a saperlo? Li c’è un escalation di rapimenti anche ad opera di sbandati, gente qualsiasi che si da alla criminalità perché ormai disperati. Aleppo era una grande città industriale con una forte iniziativa economica. Ora è tutto fermo,  distrutto. Come si può vivere in quelle condizioni? In ogni caso le ipotesi più plausibili sono quelle di un gruppo appartenente a una delle fazioni islamiche, o a criminali comuni. Nel primo caso prevale una questione ideologica perché non si vogliono intrusioni esterne o testimoni in giro. C’è poi tutto il tema dell’impurità degli occidentali. Nel secondo caso la questione centrale è quella economica. Gli occidentali sono considerati una fonte di ricchezza. Comunque va tenuto conto che la dimensione economica ha sempre un suo peso perché la guerra costa tanto».
 
Perché non ci sono rivendicazioni?
«È difficile da dire. I tempi in genere sono molto lunghi. Questo sia per attivare i contatti, ma soprattutto perché i rapitori credono che così facendo salga il valore degli ostaggi».
 
Susan viveva in Libano al momento del suo ingresso in Siria. Oggi è tornata in Medio Oriente a Gerusalemme. Il suo libro è una testimonianza straordinaria perché ha passato diversi giorni nella casa di un iman stringendo una vera relazione con la moglie Miriam che era la sua carceriera. Ancora oggi è una dei pochi occidentali ad aver vissuto a stretto contatto con un gruppo della jihad islamica passata da al-Quada ad Isis.
«Dal 21 giugno del 2011 all’aprile del 2013 ho sconfinato illegalmente più di dodici volte. Vedere la trasformazione degli attivisti “pacifisti” in miliziani armati di kalashnikov è stato forse il segno più evidente di quanto l’Occidente abbia fallito».
Susan ha scelto questa professione impegnandosi in aree di così forte conflitto perché non si può chiudere gli occhi davanti all’orrore e qualcuno deve saperlo raccontare guardandoci dentro. Con coraggio, ma anche molto, molto rischio. È una free-lance. Non ha dietro un grande gruppo editoriale, ma ogni movimento prima dei suoi ingressi in Siria era calcolato e studiato, per quanto in scenari di quel tipo non ci sono mai certezze di alcun genere.
Greta e Vanessa, nel loro slancio umanitario, nella loro innocenza di giovani piene di speranza hanno cercato di prender su se stesse tutto quel fallimento di cui parla anche Susan. Una scelta troppo grande. Ora la speranza è che quella professionalità dei servizi e della diplomazia, che certamente è già all’opera, le riporti a casa presto.

 

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 08 Agosto 2014
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