
Benvenuto Spartaco: ci affidiamo al tuo nome
Doveva chiamarsi Paolo, poi prevalse il nome del bisnonno. Ha vinto la Coppa dei Campioni ma preferisce ricordare i Mondiali, nonostante Pak-Doo-Ik. E ora prova a risollevare il Varese
In attesa di vederlo all’opera tra campo, spogliatoio e uffici, prendiamo quanto di buono può offrire al primo impatto. Non l’esperienza, verificheremo anche quella, ma il nome: Spartaco. Perché questo Varese malconcio e orgoglioso, trafitto prima da certi comportamenti dirigenziali che da centravanti avversari, ha bisogno di gladiatori in campo e fuori per combattere la lotta che vale una salvezza.

Toscano di Terranuova Braccioli, il “nostro” Spartaco fa di cognome Landini e da calciatore stava proprio in uno dei ruoli che più si identificano con la durezza: lo stopper. «Il mio nome deriva da un bisnonno che lo portava. Inizialmente dovevo chiamarmi Paolo perché un mio fratello era Pietro, poi prevalse il ricordo dell’antenato e allora i miei scelsero Spartaco». Classe 1944, lunga militanza sui campi e ora un’esperienza dirigenziale segnata soprattutto con i rossoblu del Genoa prima di toccare Padova e Spezia. Anni in cui, tra le altre, ha coltivato un’amicizia con la famiglia Sogliano di cui non si fa mistero nel giorno della presentazione. Del resto la stessa Ilaria Sogliano, figlia di Ricky, lo ha scritto su Facebook: «Un grande professionista, una bellissima persona e un caro amico». E Landini di rimbalzo conferma: «Non so se lui ha presentato le mie credenziali, ma non mi stupirei».
Al primo impatto, Landini è di poche parole: in conferenza stampa sta tra il timido e il taciturno, pur concedendosi una battuta per stemperare: «Avevo quasi perso l’abitudine a queste cose». Poi però scioglie la lingua senza remore: «Da calciatore, con l’Inter, ho vinto due scudetti e una Coppa dei Campioni – spiega quando gli si chiede il suo ricordo più bello – ma la soddisfazione maggiore è stata la convocazione in Nazionale per i Mondiali d’Inghilterra». Possibile, con quel curriculum nel club? E con quella disdetta capitata nel ’66, la sconfitta contro la Corea del Nord, unica partita giocata nel torneo iridato da Landini? «Massì, e infatti ho citato la convocazione, non le gare. La Coppa dei Campioni è lì, la guardi, la ammiri, ma la chiamata in azzurro è il riconoscimento massimo a quello che tu stai facendo in carriera». Ebbene, con questo Varese qualche filo con la Nazionale si può riannodare, viste le convocazioni anche recenti che hanno riguardato alcuni giovani come Fiamozzi o il suo corregionale Capezzi. Prima di tutto però, c’è da pensare alla salvezza biancorossa. E per questo non basta uno che si chiama Paolo, come un grande Santo: serve un ribelle, un gladiatore. Uno che porta il nome di Spartaco. In bocca al lupo.
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