“Mauro, la tua vita non é passata invano”
Oltre 200 persone al corteo per i 70 anni dell'uccisione di Mauro Venegoni, il partigiano che venne torturato proprio sulla strada per Busto. Presente anche il nipote Dario che ne ha tracciato un ricordo
Venegoni da giovanissimo aveva aderito al Pci fin dalla fondazione, aveva conosciuto Gramsci. Negli anni tra le due guerre finì al confino, poi viaggiò fino a Mosca: qui maturò l’avversione per lo stalinismo allora imperante con il terrore, finendo per scontrarsi ideologicamente anche con il Pci. Con la guerra, tornò appunto nella zona dell’Alto Milanese, per organizzare SAP e Brigata Garibaldi: arrestato dai fascisti, fu torturato e accecato, morì senza tradire i suoi compagni.
A ricordarlo, al termine del corteo di domenica, su un palco di fronte al cippo commemorativo, sono intervenuti diversi personaggi. Ad aprire gli interventi è stata Sonia Cattaneo, sindaco del consiglio comunale dei ragazzi di Cassano Magnago: «Quelli di Veneogni sono valori e ideali che noi giovani dobbiamo portare avanti negli anni e che non dobbiamo dimenticare». A seguire è intervenuto anche il sindaco di Legnano, Alberto Centinaio, comune dove è nato Venegoni: «Non siamo qui solo per il ricordo di una repressone dei partigiani, ma per rendere omaggio a un uomo che ha dedicato la vita a un ideale politico. Non venne maieno ai suoi ideali e alla militanza politica e sindacale. È un modello per tutti noi, soprattutto per le nuove generazioni. Lui è gli altri partigiani lottavano per costruire un’Italia migliore. Oggi se c’è un delitto che stiamo commenterò verso i nostri giovani è quello uccidere la speranza per un domani migliore, quella per cui lottava Venegoni».
A conclusione della cerimonia, è intervenuto anche Dario Venegoni, nipote di Mauro: «Oggi vedo davanti a me tante persone possono raccontare meglio la sua figura e che lo hanno conosciuto. Sono fiero che la sua figura sia ancora ricordata. Mauro viveva un una situazione senza speranza con condizioni di vita inumane per l’arricchimento di pochi. È in quel l’ambiente che è nata la cultura del lavoro e che in quella condizione si poteva continuare a conquistare un modo nuovo di far valere le proprie idee per costruire un domani. Ma in quel periodo c’era la repressione del fascismo, lui ha pagato le conseguenze dei propri ideali, ma questi non sono morti. E se oggi siamo qui lo dobbiamo a quello che lui è stato. Il suo sacrifino non è stato vano».
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