Raviolificio San Marco, che pasta d’impresa
Ha fatto della pasta fresca un prodotto eccellente ed esportabile, senza tradire la propria vocazione artigianale e mantenendo un legame stretto con i prodotti del territorio
Il Raviolificio San Marco, un nome che rimanda alle origini venete del suo fondatore Gabriele Trolese, nasce in un piccolo stabile nel 1973. Oggi, dopo varie trasformazioni, si prepara a “sbarcare” in Inghilterra grazie a una delle fiere più prestigiose del settore food. Siamo andati a conoscere Marco, figlio di Gabriele, per raccontare la loro storia e capire come una piccola azienda della nostra provincia è riuscita a ottenere uno stand a “Bellavita”, l’evento dedicato esclusivamente al made in Italy da gustare, che si terrà a Londra dal 19 al 21 luglio.
Marco puoi raccontarci come siete arrivati a Bellavita?
«Era da un po’ di tempo che volevamo capire come funzionava il mercato anglosassone, lì i prodotti italiani sono apprezzati, ma la domanda è molto esigente. Così insieme a un amico madre lingua abbiamo iniziato a studiare e abbiamo messo in piedi un sito internet con dominio inglese (www.specialravioli.co.uk) che rimandasse al nostro. Dopodiché, grazie agli strumenti che mette a disposizione Google, lo abbiamo posizionato in modo tale che fosse facilmente reperibile da chi cercasse i termini “pasta fresca, ravioli, spaghetti, made in Italy, etc” e dopo qualche mese, siamo stati contattati dall’organizzatore della fiera Bellavita».
Detta così sembra un gioco da ragazzi…
«Diciamo che ci vuole un po’ di applicazione e di buona volontà, ma l’export non è impossibile, soprattutto se conosci gli strumenti che internet ti mette a disposizione. Considera che la nostra azienda esporta già in Iralanda, Svizzera e Germania. Certo non basta stare dietro un computer perché arrivino i clienti, bisogna anche prendere e andare sul posto a cercarli».
So che avete partecipato a Expo-rt, l’iniziativa promossa da Confartigianato e Ice per far incontrare a Milano imprese e buyers esteri durante Expo2015. Che impressioni ne hai ricavato?
«Direi che è andata bene. Per la giornata Confartigianato Varese ci aveva fissato quattro appuntamenti con altrettanti distributori e importatori provenienti dal Nord Europa, poi gli appuntamenti sono diventati sei, soprattutto con tedeschi e russi. Incontri brevi, conoscitivi, ma speriamo si concretizzi qualcosa. Diciamo che l’interesse c’era».
Mi sembra di capire che siete un’azienda votata all’esportazione, da quando avete questo approccio?
«In realtà il discorso dell’export riguarda un riassetto generale della nostra impresa. Oggi produciamo circa 40-50 quintali di pasta fresca alla settimana. Ora vorremmo aumentare almeno del 50 per cento la nostra produzione. L’export fa parte di un disegno più ampio, iniziato qualche anno fa, che insieme ad altri aspetti mira a farci crescere».
Mi racconti da quali elementi si compone questo “disegno”?
«Be’ dal rinnovamento del nostro impianto, certificato Iso 9001, fino agli investimenti in nuovi macchinari e al lancio di nuovi prodotti, abbiamo cercato di diversificarci e offrire prodotti di alta qualità al giusto prezzo. Durante gli anni di crisi, invece di retrocedere, abbiamo investito, rivedendo l’immagine di tutti i nostri prodotti, lanciando un sito internet aggiornato e migliorando la produzione, cercando di perfezionarla quanto più possibile».
Chi sono i vostri clienti?
«Come ti accennavo la richiesta è molto diversificata. Abbiamo clienti che vengono nel nostro spaccio di Gazzada Schianno per acquistare qualche confezione di ravioli, così come clienti che richiedono grossi volumi ogni settimana. Parlo della grande distribuzione e della ristorazione, un settore su cui abbiamo puntato da qualche anno alzando il livello qualitativo».
Cioè?
«Ti faccio qualche esempio: nei ripieni dei nostri prodotti non mettiamo i ritagli di salumi o il mix di formaggi industriale. Per quanto possibile compriamo tutto made in Italy, dai formaggi ai salumi, dalle farine alle uova. Non compriamo lo scarto, ma la forma intera di Grana Padano, non la mozzarella industriale, ma quella di Bufala Dop. Da cinque o sei anni poi abbiamo iniziato a produrre un prodotto a filiera corta, in cui i clienti ritrovano la formaggella del luinese, il miele varesino, il lavarello del lago maggiore, l’asparago di Cantello e così via».
Questo discorso di filiera corta ha dei costi sostenibili per la vostra impresa?
«Il prodotto ha dei costi maggiori, ma come sempre avviene è il mercato che determina il successo di un prodotto. Cinque o sei anni fa, quando abbiamo iniziato a lanciarli, non se li filava nessuno. Poi grazie a un lavoro intelligente sulla comunicazione oggi questi prodotti stanno funzionando e ci permettono di diversificarci dalla concorrenza. Inoltre credo sia giusto lavorare con i prodotti del territorio».
Mi hai parlato delle macchine nuove, ma come fa il vostro Raviolificio a fare innovazione?
«Anche qui si tratta di una serie di cose. Si va dallo sviluppo di nuovi prodotti, come i nostri
MaccheGnocchi (gnocchi di patate a forma di maccheroni ndr.) per cui abbiamo addirittura disegnato la macchina, fino alla nostra linea vegana e bio, che entrerà in commercio dal prossimo settembre. Ma in innovazione io inserisco anche la scelta di produrre vaschette 100% riciclabili etichetta inclusa, fino al servizio a domicilio ai nostri clienti».
Da produttore agroalimentare qual è la tua impressione sulla provincia di Varese, come ti trovi?
«A volte mi sembra paradossale che mi conoscano più a Como o a Novara che a Gazzada. È anche vero che non siamo nella Food valley (Modena- Reggio Emilia – Parma ndr.), ma qualcosina in più si può sicuramente fare. È comunque un bel segnale il fatto che oggi le persone siano più attente a quello che mangiano rispetto a qualche anno fa. Significa che c’è sensibilità e, almeno per quel che ci riguarda, stiamo andando nella direzione giusta».
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