Una storia scritta sulla carta
I settant’anni delle Arti Grafiche Colombo, associata a Confartigianato Varese dal 1945: dal nonno Pasquale al papà Nino, dalla tipografia al digitale
Una casa di ringhiera, un piccolo cortile, il magazzino della carta e il rumore – inconfondibile – delle macchine da stampa. Un ritmo sempre uguale ma ben cadenzato, secco e rotondo nello stesso tempo. Elogio, forse, della lentezza con la spinta gentile che ogni foglio riceve dopo la mano di inchiostro. Alle Arti Grafiche Colombo S.a.s. di Busto Arsizio, si lascia sempre il segno: una gabbia di colore, linee geometriche, foto e immagini del mondo che si perdono nei sogni. Luigi è la terza generazione della famiglia: dopo il nonno Pasquale, che fonda l’azienda in via Milano a Busto, ancora prima della seconda guerra mondiale, segue il padre Nino e poi lui. Una dinastia di imprenditori che lega la praticità al romanticismo, con quelle frasi che ancora si ricorda Luigi: “Sei troppo buono per fare l’imprenditore”, mi diceva mio padre.
Però poi l’ha fatto…
«Poi si impara, ma se mio figlio Simone non volesse ne sarei contento: ha studiato Criminologia, che con la stampa non ha nulla a che fare. Vediamo: con lui si potrebbe passare al digitale perché sarebbe il nostro “uomo-pc” e chiuderebbe il cerchio professionale di questa azienda».
Un passaggio doveroso, non crede?
«In famiglia ci siamo sempre adeguati al mercato: negli anni ‘70/’80 con il passaggio dalla tipografia alla litografia. Per mio padre fu una vera rivoluzione perché si trattò di un cambiamento radicale. Come fai a spiegare ad un tipografo vecchio stampo che deve lasciare i caratteri mobili e usare le lastre? La curiosità, ma soprattutto la necessità, ti spinge a cambiare».
E così ha sempre fatto?
«Nel 1991 passiamo dalla litografia a 2 colori a quella a 4, e nel 2000 arriva la voglia del digitale. Pochi anni fa mi sono comprato una macchina piccolina tutta per me, per giocarci. Se mio figlio dovesse decidere, faremo seriamente. L’informatizzazione rischia di eliminare la carta, così ci stiamo attrezzando anche per questo: stampare calendari, brochure, depliant, manifesti, biglietti da visita, fogli da lettera e cataloghi non basta più».
Ci sono anche i biglietti per il treno?
«Una bella soddisfazione: lavoro con Trenitalia da anni, e alcuni anni fa mi affidarono la stampa dei biglietti su carta securizzata (l’avevo fatta arrivare dall’Inghilterra) sulla fiducia. Un riconoscimento che mi tengo stretto».
Se tutto questo non basta, cosa farete?
«La cartotecnica è una possibile soluzione: qualcosa abbiamo già cominciato a fare, scatolette e contenitori, ma non è ancora sufficiente perché abbiamo tanti clienti da accontentare. Questa è sempre stata la nostra forza: non disdegnare nessuno, neppure quello che viene da te una volta all’anno».
Anche questo lo diceva suo padre?
«Gli insegnamenti di una volta valgono ancora oggi: quando ero ragazzino io e papà ritornavamo in azienda alle 20.30 e su un quaderno si faceva il conto del lavoro della giornata. Un bilancio fatto rigorosamente a penna, perché i numeri devono restare. Secondo insegnamento: il cliente non lo perdi per il prezzo troppo alto, ma se lo freghi sulla qualità e nella puntualità».
È questo che le piace del suo lavoro?
«La vera soddisfazione di quello che faccio è che non è mai uguale: c’è sempre qualche problema da risolvere».
Quale?
«Tanti: dopo 35 anni, in 15 giorni ho cambiato banca perché mi aveva mollato in mezzo ad una strada. In 2 mesi ho avuto un finanziamento da Artigianfidi Lombardia, attraverso Confartigianato Varese, per un investimento in macchinari e sono ripartito. Sulla tassa rifiuti sono andato in Comune, qui a Busto Arsizio, per cercare di capire: “Io smaltisco i rifiuti con un’azienda specializzata”, ho detto. E loro: “Ma lei beve il caffè? E allora…”. Alla fine ho avuto ragione io. Una delle poche cose sulle quali non avrò nessun risultato è il costo del lavoro: il totale delle tasse, su un’impresa, ha ormai raggiunto il 70%».
E poi?
Mi è accaduto poche volte di dover chiedere soldi ai clienti e spero di non doverlo fare più: è una cosa che proprio non mi va.
Nel mestiere da imprenditore ci sta anche questo?
«Le qualità di un artigiano sono altre: saper fare il proprio mestiere e trasmetterlo agli altri. Oggi la situazione è difficile, ma non sa quanto vorrei assumere un giovane: per imparare ad usare una macchina da stampa ci vogliono 2 anni, giro ancora tra i dipendenti e a volte correggo e consiglio. Tratto i clienti come figli: “Secondo lei cosa dobbiamo fare?”, mi chiedono. Loro si fidano ed io propongo».
E investe?
«Sul digitale sono pronto a metterci 50mila euro e nel 2004 ho acquistato una macchina da stampa per 350mila euro: la mia azienda è la mia vita».
Lo era anche per suo padre?
«Sì, lo era, ma negli anni è cambiato quasi tutto: noi lavoriamo su commessa perché anche il cliente ormai risparmia. E il mio pensiero è sempre lo stesso: speriamo che il lavoro non manchi, anche se…»
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