Deborah: “Mi hanno regalato una nuova vita”

Intervista a Deborah Iori, protagonista di una straordinaria catena di solidarietà contro una malattia rarissima. Che ha dato risultati straordinari

Deborah torna alla vita (del paese)

(Foto di Franco Aresi)
«Grazie alla raccolta, mi è stata regalata una nuova vita. Ogni giorno mi sveglio e prego che non sia solo un sogno. Pensavo di avere tanti amici, ma così tanti no: in una solidarietà così grande non avrei mai sperato…» Sono queste le prime parole di Deborah Iori al nostro giornale. Importanti per il grande movimento che la storia di Deborah aveva suscitato nei lettori, ma ancora più importanti per il fatto che Deborah da ormai due anni non parlava più, perchè non riusciva più ad articolare le parole e faticava a respirare.

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Invece la telefonata che ha preceduto questa chiacchierataè stata fatta per annunciare, di persona, che non solo parlava, ma era in grado di camminare: tanto da avere deciso di andare personalmente a ringraziare chi l’aveva aiutata. Prima all’evento organizzato per lei a Laveno sabato, poi alla festa di Sangiano domenica, organizzata da quella pro Loco che tanto aveva fatto per aiutarla ad arrivare a fare le costosissime, ma risolutive, cure americane. «Riesco anche a camminare, ora. E mai più pensavo che ci sarei riuscita di nuovo: erano dieci anni che stavo in sedia a rotelle».

Invece, quando è arrivata negli Stati Uniti: «Mi hanno confermato che la mia era una forma particolarmente grave della malattia, ma il professore che ha confermato la diagnosi mi ha anche detto “penso che tra circa un mese e mezzo potrà ricominciare a camminare”. Francamente, credevo avesse esagerato. Invece, un mese e mezzo dopo muovevo i primi passi. Non ci potevo credere».

Una sensazione che non ha provato solo lei: «La gente quando mi vede è stupefatta. E la nostra vita è cambiata: non solo la mia, ma anche quella di mio marito e dei miei figli. Mio figlio più piccolo di 14 anni non si ricordava nemmeno di avermi mai visto camminare. Al mio ritorno continuava a girarmi intorno e a dire “la mamma cammina! la mamma mangia!”».

Ma la cosa piu bella, per lei, più ancora quella della sensazione di camminare, è stata tornare a mangiare: «Camminare è stata una emozione grande, ma lo è stata ancora di più quando ho ricominciato a mangiare, a masticare e deglutire: ho dovuto reimparare. Il primo cibo che ho provato a mangiare è stata un patata bollita. L’ho trovata buonisisima. Per me ora è tutto buonissimo».

Grazie alla straordinaria raccolta avviata da amici parenti e concittadini, e alimentata dagli articoli e dai post social: «I fondi raccolti mi hanno permesso innanzitutto il viaggio aereo, con un velivolo-ambulanza speciale che è costato solo lui circa 75 mila euro. Un aereo ovviamente privato, dove c’ero solo io, mio marito, un medico e l’infermiere – spiega Deborah – Con quelle somme, mi hanno permesso di confermare la diagnosi che avevo ricevuto in Italia, anche attraverso gli esami strumentali. Poi mi hanno permesso le prime cure sul posto e la terapia per i primi sei mesi, che mi sono portata a casa».

Per questo ci ha tenuto cosi tanto, appena è stato possibile, uscire di casa e ringraziare personalmente chi l’aveva tanto aiutata, partecipando alle due feste del weekend. E’ ancora magrissima e porta la mascherina soprattutto all’esterno, perchè il contatto con le persone è ancora rischioso, ma siamo lontanissimi dai giorni in cui il solo sopravvivere rappresentava per lei un continuo accumularsi di residui tossici nell’organismo. La strada è lunga, ma le cure hanno già dato risultati straordinari.

Deborah dovrà tornare negli Stati Uniti ogni sei mesi, per due anni: questa è la tempistica delle visite di controllo “salvavita” fissata a Dallas. E per questo la raccolta fondi da parte di chi le è stato vicino continua. Stavolta però, potrà tornarci con un aereo di linea: «Non dovrò più prendere, tra 5 mesi, tutte le precauzioni che si sono dovute prendere nel mio primo viaggio, fortunatamente. E per di più oggi grazie alla raccolta, ho il sufficiente per tornarci a febbraio e riprendere le cure: un elemento di serenità in più, visto gli effetti che queste cure hanno su di me e il fatto che per almeno due anni dovrò assolutamente seguirle con continuità. spero che a questo punto non chiudano la porta in faccia in Italia, non si può più negare l’esistenza della mia malattia. In America la curano da trent’anni».

Stefania Radman
stefania.radman@varesenews.it

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Pubblicato il 28 Settembre 2015
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