Non vincono, non vinceranno
Di Marco Giovannelli
L’immagine della torre Eiffel che spegne le proprie luci simboleggia tutta la sofferenza per quanto è avvenuto stanotte a Parigi. La grandezza della civiltà umana prende corpo anche grazie ad alcune opere, e quella creatura di ferro, da oltre un secolo, oltre che meta turistica, è lì a ricordarci quanto siamo in grado di realizzare. Vederla spenta è un segnale drammatico in ore in cui l’incredulità lascia spazio al dolore, alla rabbia, alla paura. Sentimenti che sono amplificati dal fatto che ci sentiamo tutti più fragili e più vicini al rischio.
Non ritroveremo energia e forza immaginando però che il male sia qualcosa da sconfiggere chiudendo frontiere. Quello è necessario farlo per dare una risposta pratica nelle ore successive alla ricerca dei responsabili dei folli gesti. La domanda che bisogna porsi è perché succede tutto questo e cosa ognuno di noi può fare nel proprio piccolo e nella vita quotidiana. Altrimenti si rischia di ripetere litanie già sentite dopo l’attacco di gennaio alla redazione di Charlie Hebdo o quando a New York vennero colpite le torri gemelle, simbolo della bellezza e della forza creatrice dell’uomo
Siamo di fronte a qualcosa di inquietante, di terribile, di osceno che sta cambiando le sembianze della vita civile a cui eravamo abituati. Una forma di odio e violenza che assomiglia sempre più a un cancro. Per combatterlo non basta immaginare di bombardarlo, perché insieme alle cellule impazzite, uccideremmo anche il resto del corpo, la parte sana. Occorre avere il coraggio di guardare dentro quel corpo ascoltando ciò che non funziona. Negare questa parte lo fa ingrassare sempre di più fino a farlo diventare un mostro gigantesco con la paura che diventi invincibile.
Se pensiamo che sia solo la nostra forza, la nostra potenza, a risolvere i conflitti, tanto più quando sono interni, rischiamo di fare solo il gioco di chi vuole morte e distruzione. Risuonano potenti le parole di monsignor Gianfranco Ravasi quando dice che «se vediamo nell’altro uno sgorbio morale, prima di puntare l’indice contro lui, proviamo a ricordare che in quel gesto fisico c’è un significato simbolico suggestivo: stringendo il pugno per indicare l’altro, almeno altre tre dita rimangono rivolte verso di noi, in un implicito atto d’accusa quasi mai immotivato».
Oggi sembra un giorno in cui non si può star a rifletter troppo e in cui vincono le tenebre, in cui il mostro dell’odio rischia di invadere i nostri cuori e le nostre menti, ma la nostra civiltà saprà dare risposte solo se disposta ad ascoltare le domande inquietanti che tanto dolore e ingiustizie ci portano.
Non ha così alcun senso parlare di guerre di religioni perché nessuna di quelle esistenti le vuole. Farci carico di ascoltare le ingiustizie e cercare di guardarle con meno ipocrisia ci permetterebbe di togliere gran parte dell’energia di cui si stanno alimentando i signori del terrore.
La nostra solidarietà, come giornale e come singole persone, verso i familiari e le persone vicine alle vittime è totale. Lo stesso vale per un paese, la Francia, oggi soggetta, come altre nel mondo, a tanta violenza e odio.
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Finché l’Europa continua a ragionare con un cervello singolo, una politica singola ed un esercito singolo per ciascun paese vinceranno eccome caro direttore.
Anzi, hanno già vinto, son molto più efficaci di noi che ci perdiamo in chiacchiere e cordoglio difendendo solo gli interessi personali.
Ad ogni attentato si ripetono le stesse parole, reazioni e cordoglio ma la guerra a questi macellai la vogliamo sempre demandare ad altri oppure, peggio ancora, facciamo guerra agli stati sbagliati.
Sul discorso ISIS sono molto “estremista” e non credo cambierò la mia opinione neanche quando, ma questo non si è ancora verificato, un capo di stato o di governo di un paese arabo/musulmano prenda pubblicamente le distanze e condanni questi animali. Questi arabi sono tutti uguali non avranno mai il coraggio di condannare……i musulmani.