Troppi medici obiettori negli ospedali lombardi
Il PD ha analizzato i dati relativi all'interruzione volontaria della gravidanza che rimane ancora ostacolata dalla politica lombarda
Il Partito democratico torna a parlare di interruzione della gravidanza. Dopo la relazione presentata dal Ministero sugli effetti della legge 194 del ’78, il PD ha verificato che è in costante calo il numero degli aborti, sia in Italia sia in Lombardia. Un’indagine che si è conclusa con risultati identici a quella effettuata nel 2013.
Nella nostra regione, lo scorso anno si è registrata una diminuzione di interruzioni volontarie del 5,2%, una cifra che la vicepresidente del Consiglio regionale Sara Valmaggi considera troppo esigua, probabilmente dovuta anche alla mancata introduzione di una misura economica in favore di chi rinuncia ad abortire, misura applicata in altre regioni: «Una misura- sottolinea Valmaggi – che dovrebbe avere come obiettivo quello di ridurre il ricorso all’aborto ma evidentemente non è efficace e come tale dovrebbe essere ripensata. Così come dovrebbe essere rivista la scelta della giunta di limitare l’accesso al contributo alle donne straniere che risiedono da almeno 2 anni nella nostra regione. Una scelta certamente ideologica ma soprattutto miope».
Negli ospedali pubblici, il numero di obiettori è ancora elevato. Ci sono ospedali dove sono la totalità come al sant’Antonio di Gallarate che deve ricorrere a uno specialista esterno per rispondere alla domanda: « Il costo dei medici gettonisti, nel 2014, è stato di 255.556 euro – ha calcolato il Pd – Per l’alto numero di obiettori e il modello di organizzazione ospedaliera che non favorisce le donne che scelgono di abortire i tempi di attesa si allungano. I dati della relazione ministeriale evidenziano che la Lombardia è sedicesima per i tempi di attesa tra la certificazione e la data dell’intervento».
Migliore è la situazione negli altri ospedali varesini: all’Ondoli di Angera c’è un ginecolo che può fare l’IVG a fronte di 5 obiettori, al Del Ponte ci sono 16 obiettori e 9 consenzienti, a Cittiglio su undici ginecologi, dieci sono obiettori, a Busto nell’equipe di 15 medici gli obiettori sono 11, sono 7 su 10 a Saronno e 7 su 9 al Galmarini di Tradate.
«C’è – afferma Valmaggi – una chiara pregiudiziale ideologica che non è cambiata con la giunta Maroni. Noi, da parte nostra, chiediamo di attuare la legge 194 in tutte le sue parti, imponendo la mobilità del personale nelle strutture pubbliche e obbligando quelle private accreditate a garantire la possibilità di effettuare l’ivg,, Ad oggi nessuna lo fa».
Nell’indagine del PD si sono raccolti anche i dati relativi all’utilizzo della RU486, detta anche la pillola del giorno dopo. La percentuale di Ivg farmacologiche nel 2014 è ferma al 4,5%- era al 3,3 nel 2013 – a fronte del 30,5% della Liguria, del 27% della Valle d’Aosta, del 23,3% del Piemonte, del 21,8% dell’l’Emilia Romagna e dell’11,7% della Toscana. All’origine di questo dato negativo c’è, in primis, il fatto che 30 strutture sulle 62 che effettuano interruzioni di gravidanza non utilizzano la RU486. In molti casi non viene neanche proposto come metodo alternativo a quello chirurgico; inoltre passa troppo tempo tra la certificazione e l’effettiva esecuzione dell’ivg e questo fa scadere i termini temporali (49 giorni) entro i quali è possibile utilizzare il metodo farmacologico. A questo si aggiunge che, per la RU486, viene applicata in maniera ferrea l’indicazione nazionale dei tre giorni di ricovero, a differenza dell’Ivg chirurgica che è eseguita in day hospital.
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