Farhad Bitani, dalle armi al dialogo interreligioso
L'ex-capitano dell'esercito afghano presenta il suo libro e il suo percorso da militare a costruttore di pace e fratellanza tra le religioni. L'incontro alla Fondazione San Giacomo

Giovedì 28 gennaio, ore 21.15, la Fondazione San Giacomo, nel suo Auditorium di piazza XXV Aprile, 1 – Busto Arsizio, presenta il secondo appuntamento del percorso dedicato alla persecuzione cristiana in medio oriente dal titolo: “La morte negli occhi. La vita nel cuore. La persecuzione cristiana in medio oriente”.
Dopo la serata con il fotoreporter Gian Micalessin è il momento della presentazione del libro «L’ultimo lenzuolo bianco. L’inferno e il cuore dell’Afghanistan» (prefazione di Domenico Quirico, Edizione Guaraldi) scritto da Farhad Bitani, ex Capitano dell’Esercito afghano.
Farhad Bitani è nato a Kabul il 20 settembre 1986, ultimo di sei figli. Suo padre è un Generale che ha combattuto per liberare l’Afghanistan dalla dominazione sovietica. Fin dai primi anni della sua infanzia è stato abituato a vivere a contatto con la guerra, della quale sperimenta tutte le passioni attraverso i successi e le sconfitte di suo padre. Dopo la caduta del governo di Najibullah la famiglia si trasferisce a Maimana, nell’Afghanistan nord-occidentale, vicina al confine con il Turkmenistan.
Dal 1997, in seguito all’arresto del padre caduto nelle mani dei Talebani, Farhad vive per due anni a Kabul in condizione di estrema povertà con la madre e un fratello. Nel 1999 il padre riesce a evadere dal carcere talebano di Kandahar e la famiglia si trasferisce in Iran. Nel 2002, con l’inizio dell’Operazione Enduring Freedom, la famiglia del Generale Qasim Khan si trasferisce nuovamente a Kabul.
Nel 2004 il padre di Farhad viene nominato addetto militare presso l’Ambasciata dell’Afghanistan in Italia e nel 2005 la famiglia si stabilisce a Roma. Nel 2006 Farhad è ammesso al 188º corso dall’Accademia Militare di Modena; completato il biennio in Accademia si trasferisce a Torino per gli studi superiori presso la Scuola di applicazione e Istituto di studi militari dell’Esercito.
Nel 2011, durante un periodo di licenza in Afghanistan, subisce un attentato da parte di un commando di Talebani. Sopravvissuto miracolosamente all’attacco, inizia una riflessione sulla propria vita che lo conduce a un radicale cambiamento: depone le armi, chiede ed ottiene asilo in Italia, dove inizia un capillare lavoro di informazione e dialogo interreligioso e interculturale.
È socio fondatore del Global Afghan Forum, un’organizzazione di giovani afghani residenti in diversi paesi del mondo, i quali lavorano per la costruzione di una comunità umana più educata, prospera, sicura e giusta.
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