30 anni fa iniziava il Maxiprocesso: la mafia alla sbarra
La mattina del 10 febbraio 1986 iniziava il Maxiprocesso a Cosa Nostra, fortemente voluto da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Più di 350 mafiosi vennero condannati
10 febbraio 1986. Un lunedì che Palermo non dimenticherà mai: quello dell’inizio del Maxi Processo a Cosa Nostra. Un qualcosa di così importante e nuovo per una città insanguinata dalla mafia che venne costruita appositamente un’aula bunker direttamente all’interno del carcere dell’Ucciardone.
Nessuno sapeva cosa sarebbe potuto succedere quella mattina quando 475 imputati si presentarono, per la prima volta, alla sbarra. Dubbi e paure così diffusi che spinsero alcuni giornalisti a presentarsi con giubbotti antiproiettile ed elmetti da guerra. Ma la guerra, almeno quella volta, la vinse lo stato. 22 mesi dopo arrivarono infatti una raffica di sentenze di colpevolezza: 19 ergastoli e 342 condanne per un totale di 2.655 anni di carcere. Un processo durante il quale il pentito Tommaso Buscetta raccontò la sua storia portando a condanne eccellenti quali quella di Pippo Calò, Michele Greco, Luciano Liggio oltre a Bernardo Provenzano e Toto’ Riina che ai tempi erano ancora latitanti.
Quando la sentenza fu pronunciata il 16 dicembre 1987 Giovanni Falcone esultò: “Abbiamo vinto”. Il Maxiprocesso fu infatti fortemente voluto da lui e da Paolo Borsellino, autori della poderosa ordinanza scritta dai due giudici istruttori durante l’esilio forzato dell’Asinara. Ma imbastire il processo non fu facile. Tanti giudici si tirarono indietro e fu Alfonso Giordano ad accettare di presiedere la Corte d’Assisse.
Giudice a latere del procedimento fu un giovane Pietro Grasso, oggi presidente del Senato, che fu incaricato di scrivere le motivazioni della poderosa sentenza: 7.000 pagine che richiesero 8 mesi di lavoro. «Finalmente -commenta oggi Grasso- il mondo vedeva la mafia dietro le sbarre e avrebbe visto condannati centinaia di mafiosi. L’impegno dello Stato, il sacrificio di tanti uomini, e il lavoro del pool di Falcone e Borsellino trovavano un riconoscimento giudiziario e una consacrazione alla storia”.
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