Cadono le accuse al Corvo dell’ospedale
Chirurgo inviò lettera anonima ai familiari di una donna morta. Assolto dall'accusa di aver violato la privacy
																			
                        
						
						
						
						Cadono tutte la accuse contro il corvo dell’ospedale, il cardiochirurgo Giovanni Mariscalco, l’uomo che inviò ai familiari di una donna morta dopo un’operazione la cartella clinica della paziente e una lettera in cui in sostanza suggeriva un errore medico di un collega come causa della morte.
Il processo contro il medico è terminato nel pomeriggio con l’assoluzione, ma le accuse erano ormai monche di una parte importante. Il chirurgo è stato infatti processato per violazione della privacy, tuttavia il dottore sotto accusa aveva inviato la cartella agli stessi familiari, dunque si trattava in diritto di una accusa un po’ debole, nonostante il pm Arianna Cremona avesse chiesto al termine della requisitoria 9 mesi di carcere.
Il cosiddetto Corvo dell’ospedale è stato scagionato. Mariscalco ha ammesso di esser stato lui a inviare le missive e si è scusato. Ma come ha ricordato il suo avvocato Piero Magri, Mariscalco inviò la lettera a una persona che aveva diritto a conoscere quelle informazioni e non manomise la cartella clinica perché si limitò a fotocopiarla.
Inoltre l’avvocato ha sostenuto che Mariscalco agì perché il collega “rivale, Vittorio Mantovani (che fece l’operazione contestata), godeva di una certa impunità in reparto nonostante avesse commesso, a suo dire, degli errori. Ha anche aggiunto che in quel reparto era Mariscalco era il prediletto del primario e che il rivale Mantovani non aveva mai digerito questo legame professionale.
L’accusa originaria comprendeva anche il reato di calunnia, poi riclassificata in diffamazione. Mancava però la querela di parte e il reato è decaduto a metà processo.
Rimane, a chiosa della vicenda, il commento dell’avvocato dei familiari della donna morta, Paolo Bossi: “Questa storia nasce da una rivalità tra due medici in corsia. Il paziente non conta più niente. Si è utilizzato il dolore degli altri per una guerra carrieristica. Non ci si è fatto scrupolo di agire sui miei clienti per condurre questa battaglia. E i due pugili ancora oggi continuano a battagliare sul ring”.
Non è escluso che tutto possa finire anche di fronte al tribunale civile, ma intanto questa parte della guerra in cardiochirurgia è chiusa. E anche sul presunto errore medico che originò la lettera anonima la procura ha chiesto l’archiviazione: si attende cinque anni dopo i fatti, la decisione del gip.
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