Agenti svizzeri ammettono l’errore e fanno condannare il rapinatore
Gli agenti elvetici sono stati chiamati in tribunale ad ammettere l'errore di trascrizione del nome del rapinatore sulla provetta del dna. Solo in questo modo si è potuto condannate un 40enne di Clivio

La proverbiale precisione svizzera, in questo caso, ha fatto difetto e l’unico modo per condannare il rapinatore era far ammettere l’errore ai poliziotti svizzeri. «Abbiamo sbagliato a scrivere il nome della persona del quale abbiamo classificato il dna» e la condanna da parte del Tribunale di Varese per la rapina del 2007 ad un distributore di benzina di Ligornetto è arrivata comunque.
La vicenda surreale si è svolta davanti ai giudici del Tribunale di Varese che devono giudicare un 40enne di Clivio, difeso dall’avvocato Corrado Viazzo che, proprio per questo motivo, aveva chiesto l’assoluzione.
Subito dopo la rapina, infatti, la Polizia Cantonale intervenuta sul luogo dove si era consumato il reato, aveva chiesto alle autorità italiane di controllare lungo la rete di confine se vi fossero tracce del rapinatore che era stato visto scappare in quella direzione. Gli italiani ritrovarono una calza di nylon e dei guanti utilizzati durante il colpo e inviarono il materiale agli svizzeri che stavano svolgendo le indagini.
Come da prassi i reperti vennero inviati ad un laboratorio di Sangallo dove vennero prelevate le tracce di dna per la successiva identificazione, cosa che fu fatta ma sbagliando il nome sulla provetta e così al posto di Alessandro venne scritto Gianfranco.
Nel frattempo tutto il fascicolo sul rapinatore è stato trasferito dalle autorità elvetiche a quelle italiane per rogatoria e il 40enne è stato processato in Italia. La stessa efficace prassi elvetica, che porta alla registrazione dei dna delle persone arrestate, impone anche la distruzione dei reperti dopo 3 mesi e – quindi – è stato impossibile ripetere l’esame.
L’unica via d’uscita per i giudici, ed evitare l’assoluzione di un colpevole per la mancanza della prova regina, era chiamare gli agenti svizzeri e far fare loro un “mea culpa” e ammettere che durante la registrazione della provetta qualcuno sbagliò a trascrivere il nome e che quel dna appartiene precisamente al 40enne di Clivio, condannato oggi.
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