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Tone, l’artista norvegese che ha messo la cravatta alla sua casa
Termina sabato primo ottobre la mostra di una eclettica interprete dell’arte moderna che attira nel paese di confine intellettuali da tutta Europa. Tante storie che a Runo si intrecciano
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Che qui a Runo, frazione di Dumenza, stia accadendo qualcosa di speciale, lo si avverte da diversi segnali: da una cravatta che pende dal primo piano di una casa, per esempio.
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Dalle bandiere di tanti paesi che i nuovi inquilini delle dimore chiuse da tempo stanno mettendo in giardino.
E dal fatto che Tone Hellerud, artista norvegese di fama (è lei che ha messo in piedi la trovata della cravatta) abbia deciso di trasferirsi qui. E che e qui, a neppure 500 metri d’altezza dentro ad una valle chiusa, ma molto aperta in materia di visioni culturali, Tone abbia deciso di esporre le sue opere.
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Lavori luminosi, piglio politico, che ti fa vedere un innocuo quadretto colorato in acrilico come la foto di una famiglia appesa alla barca, in balia dei flutti mare aperto. Oppure altri segni lasciati dai rilievi di una trama tessuta attraverso chiodi invisibili che stanno a significare che qui la geometria sociale esiste, cammina su due gambe, ha due occhi, una testa e mille lingue.
Avevamo parlato qualche tempo fa dell’associazione Confini, che qui ha il suo quartier generale – è proprio il caso di dirlo – in una residenza d’epoca che fu l’ex caserma dei carabinieri sorta in epoca fascista, e di cui porta ancora i segni di quel periodo, oggi raffinata residenza di Paola Cornaghi e Marco Giorgi, fra i fondatori dell’associazione che l’estate scorsa portò a Piero il “Piccolo festival della Paesologia”.
Questione di downshifting, di quella “semplicità volontaria” che porta tanti professionisti a rallentare, a godersi la vita; questione di rete, intesa come web, che ne spinge altrettanti a investir in luoghi lontani dal caos, ma per nulla isolati.
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Così capita di conoscere Tone Hellerud di fronte ad un “caffè norvegese” (leggi espresso di moka eseguito magistralmente) che racconta della sua passione per la Svizzera italiana e per Bedigliora già a partire dagli anni 70’; degli studi legati ai tessuti e alle loro declinazioni artistiche, ai tanti amici svizzeri e all’innamoramento per la cultura italiana.
Poi la folgorazione per Runo, un piccolo paese nel paese nascosto lungo la provinciale. Runo, che si dice voglia dire “unico” in qualche dialetto perduto. Un posto amato da Piero Chiara e da Giuseppe Prezzolini a cui il famoso ristorante Smeraldo ha dedicato una sala. E qui, Tone, ha recentemente acquistato Casa Caprani, una residenza di inizio 900 realizzata dal capomastro del paese lasciandola come l’ha trovata, stesse scale, stessi pavimenti, e riempiendola del suo stile artistico, trasformando il piano terreno in un atelier dove si è tenuta la mostra. Molte sono le opere andate vendute in una sola settimana.
Ma perché Runo, perché trasferirsi qui? «Perché qui siamo al centro dell’Europa, perché siamo europei (la Norvegia non fa parte dell’Unione Europea, ma lei espone fieramente la bandiera blu a 12 stelle oro nda) e perché ho trovato un bel gruppo di amici che condividono le mie passioni, le mie idee» dice in tedesco, tradotto dall’amica Kim, svizzera tedesca che viene a Runo in vacanza. Kim è molto brava, anche se in realtà la traduzione può essere superflua per via di quella lingua franca che qui si sta diffondendo tra questo gruppo di persone: ci sono lituani, americani, belgi, tedeschi, olandesi che si capiscono senza troppo sforzarsi di trovare il termine giusto.
Anche l’inglese viene utilizzato, ma è proprio l’ultima, svogliata spiaggia, una scorciatoia linguistica che a prima vista molto presto risulterà superflua.
Al tavolo ascolta e annuisce anche Manuela Bartesaghi, anche lei una donna di Confini che condivide la scelta di vivere in questo luogo magico.
Il tempo scorre velocemente e parlare di cultura porta ai grandi nomi della letteratura norvegese non nuovi alla passione per il Bel Paese, vedi Henrik Ibsen, il famoso drammaturgo e poeta.
Tone sorride e racconta di un suo record personale raggiunto da queste parti: «Nel 1979 andai a visitare Monteviasco. Non c’era ancora la funivia per salire, si poteva raggiungere solo a piedi. Arrivata in cima mi dissero: “Brava, è la prima norvegese che sale fino in cima alla montagna”. Beh: come si fa a non amare questi posti?».
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