Senaldi: “Deluso ma andiamo avanti”

Parla Angelo Senaldi Pd

Riceviamo e pubblichiamo

Il risultato del referendum sulla Riforma Costituzionale non è quello che speravo e per il quale mi sono impegnato, fra le altre cose, in una trentina di incontri pubblici, tra eventi della campagna Basta un sì e confronti con i sostenitori del No.

Ciò premesso, devo sottolineare che gli Italiani si sono espressi in modo democratico e chiaro. Con la sola eccezione di quelli datati 2011, era dal 1995 che i referendum non registravano affluenze significative, in qualche caso ci si è fermati sotto la soglia del 25%. Dati che si sono accompagnati a un astensionismo crescente anche in occasione delle elezioni e che testimoniavano il distacco dei cittadini verso la politica e i temi di pubblico interesse. Per questo la partecipazione alla votazione del 4 dicembre rappresenta di per sé un elemento positivo. E’ però presto per dire se si tratti del risveglio di un interesse che può fare bene all’Italia o se sia stato un semplice fuoco di paglia.

Guardando alle conseguenze del risultato, temo che l’occasione per rendere la seconda parte della nostra Costituzione adatta ai tempi non possa ripresentarsi tanto presto. Non appartengo alla schiera di coloro che pronosticano uno stallo destinato a protrarsi per 20 o 30 anni ma se penso all’imminente futuro (a partire dalla necessità di mettere mano alla legge elettorale e alla probabile fragilità delle prossime maggioranze parlamentari dovuta all’equilibrio tra le forze in campo) trovo verosimile che non si torni a parlare di Riforma Costituzionale se non tra un decennio circa.

Personalmente in questi mesi ho sempre cercato di concentrarmi sul merito della Riforma. Ora che il No ha prevalso, però, non posso fare a meno di tornare sullo schieramento che lo ha sostenuto. La sua nota ed evidente eterogeneità rende pressoché impossibile l’impostazione di una Riforma alternativa più condivisa o migliore rispetto a quella appena bocciata. Senza contare che la vittoria del No sarà un forte deterrente per qualunque realtà politica che pensi a una modifica costituzionale.

Nonostante la delusione per il risultato, del resto, non sono dispiaciuto per il fatto che la Riforma sia stata sottoposta a referendum, passaggio peraltro reso obbligatorio da due distinte iniziative scattate all’indomani della seconda approvazione alla Camera. Se, infatti, i dibattiti in tv e in rete non hanno riservato sorprese, con toni accesi e bufale a profusione, i confronti sul territorio sono stati molto partecipati e, di solito, fondati sui contenuti. Il livello del dibattito politico nazionale, magari esasperato da chi senza ritegno invita a votare con pancia e rabbia anziché non con la testa, porta a stupirsi per ciò che dovrebbe essere normale!

Il referendum lascia dunque qualcosa di positivo anche in chi ha sostenuto le ragioni del sì: i cittadini hanno ricominciato a confrontarsi con interesse e passione. Per mesi si sono incontrati e hanno discusso del futuro del Paese, del loro futuro, ascoltando e documentandosi. La battaglia contro l’ideologia del vaffa, il populismo e l’antipolitica (nessuno la nomina più ma durante la campagna referendaria se ne è vista parecchia) passa anche da qui, dalla necessità di intercettare e capitalizzare un’attenzione da parte degli italiani che, dopo tanti segni di affaticamento, ha battuto un colpo.

Naturalmente il Partito Democratico ha il dovere di giocare questa partita, superando le recenti divisioni e facendo scelte chiare. Vuole (può) il Pd darsi un’identità votata alla modernizzazione e al cambiamento? Ha il coraggio di pensare a ridisegnarsi come partito? E’ in grado di sviluppare con chiarezza un’analisi su se stesso, magari partendo dalla recente sconfitta?

Perché una cosa dovrebbe essere chiara. Fuori dal Partito Democratico, i sostenitori del No festeggiano oggi e si faranno la guerra domani. Dentro il Partito Democratico, invece, alcuni possono essere soddisfatti per l’esito del referendum e altri sono delusi, ma la sconfitta non è stata solo del Pd di Renzi. La sconfitta è stata del Pd.

Con la vittoria del No, dunque, si è persa un’occasione per cambiare in meglio l’Italia ma, indipendentemente dall’esito del referendum, occorre trovare forze e strumenti per affrontare le prossime sfide, a partire da quelle per il rilancio dell’economia, del lavoro e della manifattura. Il bene futuro del Paese dipende comunque dall’azione del Partito Democratico.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 05 Dicembre 2016
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