Mi fermo un secondo con in mano un fiore: quanta vita nei cimiteri
Un via vai inaspettato di giovani che portano un saluto in un cimitero condiviso da due paesi. Con diverse chicche storiche fra le lapidi
Cimitero uguale giorno dei morti, fine settimana, magari sabato o domenica, dopo la messa. O un salto vicino alle feste e ai pochi “momenti liberi”, di sfuggita.
Solo luoghi comuni. Idee pensate da chi non ha la pazienza, o il tempo, di fermarsi.
A confermarlo è l’inimmaginabile viavai, alle 12 di un martedì qualsiasi.
Complice un “giro” con un conoscente della Valcuvia che permette di rallentare, e osservare.
A tutti i costi bisogna vedere una tomba – dice – nel piccolo cimitero di Cavona dove è sepolto Giacomo Oleari, scultore, classe 1864: ha lavorato pietre in tutto il paese, dove viene portato in palmo di mano: sua la scultura fuori dal museo degli indiani d’America inaugurata il 22 settembre 1929 che rappresenta, guardacaso, una madre che mostra al figlio l’elenco dei Caduti. In tempi successivi è stata aggiunta una lapide con i Caduti della Seconda Guerra Mondiale. La scuola è quella italiana, dice la soprintendenza per i beni storici artistici ed etnoantropologici per le province di Milano, Bergamo, Como, Lecco, Lodi, Monza, Pavia, Sondrio, Varese.
Nel frattempo ci sono lavori in corso: nuovi loculi, ma anche locali destinati agli utenti e a chi lavora al cimitero: c’è persino una doccia nuova.
Ma non è finita, perché, ci spiegano, Cuveglio di fatto ha due cimiteri: il secondo è a Cuvio ed è condiviso con quest’ultimo paese.
A mezzogiorno al parcheggio ci sono quattro auto, in una entra una donna, nell’altra un uomo legge la gazzetta dello sport e aspetta qualcuno, le altre due sono vuote: persone in visita.
Ma all’interno saranno più di dieci. Anche qui altro luogo comune: “saranno anziani”: sbagliato. Anche uomini e donne giovani trovano un secondo per entrare a passo veloce e subito uscire dopo aver posato un annaffiatoio e gettato i fiori secchi.
C’è un amico sepolto qui, ma non si trova. In compenso all’ingresso spiccano diverse lapidi di morti in guerra: impossibile non fermarsi.
Una ricorda il legionario Migliarini Giacomo, morto esattamente ottant’anni fa, a Malaga il 7 febbraio 1937, dove nel corso della Guerra Civile Spagnola si scontrarono truppe repubblicane e nazionaliste, con la vittoria di queste ultime.
Dice Wikipedia: Dal 3 febbraio all’8 febbraio 1937: la 1ª Divisione CC.NN. “Dio lo Vuole”, in appoggio delle forze nazionaliste, lanciò un’offensiva su Málaga.
L’8 febbraio, gli Italiani e i nazionalisti conquistarono la città. La battaglia di Malaga fu una vittoria fondamentale per i nazionalisti. Circa 74 soldati Italiani furono uccisi, 221 feriti e due risultarono dispersi.
Tra quei 74, probabilmente, anche il cuviese Migliarini.
Di fianco, altra lapide. Questa ricorda un sergente, Domenico Sonzini, caduto sul Carso il 20 agosto 1917, probabilmente durante l’undicesima battaglia dell’Isonzo, dove ci furono 30 mila morti, 110 mila feriti e 20.000 dispersi e nella quale si distinse un giovane tenente: Sandro Pertini, vent’anni, al quale venne assegnata la medaglia d’argento al valor militare per aver espugnato con pochi uomini delle postazioni difese da mitragliatrici.
La battaglia, come le tante portate avanti dallo stato maggiore italiano, non diede risultati importanti sul piano strategico e fu l’ultima di questo tenore, perché quella successiva portò un nome che ancora oggi suona molto male: Caporetto.
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