Riciclo quindi sono: la rivoluzione dell’economia circolare
Riutilizzo, riduzione, riparazione, rinnovamento, recupero sono tutte azioni che mirano alla sostenibilità ambientale, economica e sociale. Gli artigiani si interrogano sulla nuova frontiera dell'economia
«Chi certifica se il mio è un sottoprodotto o un rifiuto?». La domanda fatta dall’imprenditore alla fine del seminario sull’economia circolare, organizzato da Confartigianato Imprese Varese, e la mancanza di una risposta certa rivelano molto della situazione in cui ci si trova. L’economia circolare è infatti una rivoluzione culturale, ancor prima che economica, e come tale in questa fase fatica molto a delineare i suoi confini operativi. Ciò non toglie che affrontare questo nuovo paradigma economico sia fondamentale per un’associazione di rappresentanza perché in questo momento è vitale per imprese e consumatori allineare il benessere sociale con la crescita economica, tenendo tutto dentro il limite ambientale.
LE MICRO E PICCOLE IMPRESE SONO LE PIÙ ADATTE
«Su questi temi – ha esordito Davide Galli, presidente di Confartigianato Imprese Varese – le micro e piccole imprese a parole sono meno visibili, ma sono proprio la tipologia di impresa che nei fatti adotta più frequentemente questi modelli. È chiaro che l’economia circolare richiede un nuovo modo di pensare artigiano un mondo che, per le sue caratteristiche di flessibilità e adattamento, è già dentro questo cambiamento».
PERCHÉ È UNA RIVOLUZIONE CULTURALE
Nell’economia circolare ognuno deve fare la sua parte. Non sono coinvolte solo le imprese, ma tutto il contesto che le riguarda, compresi i fornitori e i clienti che comprano i prodotti finali. «Non esiste una strategia migliore o giusta in senso assoluto – ha detto Valentina Bramanti, dell’Alta scuola d’impresa (Altis) dell’Università Cattolica di Milano -. Ogni singola strategia va calata nell’impresa e per capire come creare valore occorre sapere dove si è posizionati». Le strategie vanno dal recupero al riciclo, cioè l’utile destinazione dei materiali, fino alla riduzione, condivisione e trasformazione, vale a dire all’intelligente utilizzo e lavorazione dei prodotti, passando per la rilavorazione, il rinnovamento, la riparazione e il riutilizzo.
Iniziano ad esserci casi interessanti, come quello di Patagonia, famoso marchio di abbigliamento che incentiva i consumatori ad allungare la vita dei loro prodotti a colpi di slogan (“Se si è rotto, riparalo!”), fornendo tutorial e corsi per la riparazione, e a riutilizzarli fino alla fine quando verranno recuperati per produrre nuove fibre. «Diventa fondamentale saper innovare – ha aggiunto Bramanti – e cambiare il processo di creazione di valore, non più legato alle quantità vendute ma ai servizi accessori. È necessario inoltre creare un network di relazioni intersettoriali e coinvolgere il cliente già nella fase di progettazione».
TRA IL DIRE E IL FARE C’È DI MEZZO IL FARE
Bureau Veritas Italia e Aisec (Associazione italiana per lo sviluppo dell’economia circolare), con la partecipazione di Altis, hanno pubblicato il primo quaderno riguardante l’economia circolare in Italia. Una fotografia della situazione basata su un questionario inoltrato a 30mila imprese. Alla domanda se consideravano l’economia circolare un modello interessante da applicare alla loro impresa, il 90% degli intervistati ha dichiarato che in un’ottica di crescita sostenibile è imprescindibile. «La realtà è poi un po’ diversa – ha spiegato Tiziana Massara, project manager area sviluppo e innovazione di Aisec -perché specialmente le aziende considerate mature nel proprio settore fanno fatica a stravolgere il loro modello di business».
Tra le criticità emerse c’è la mancanza di informazione e di formazione specifica, ma soprattutto c’è la difficoltà a fare rete, uno dei pilastri dell’economia circolare. «Ci sono anche difficoltà economiche – continua Massara – perché un percorso di economia circolare richiede investimenti in nuove tecnologie e in ricerca e sviluppo. È vero che Horizon 2020 (lo strumento principale dell’Unione europea per il finanziamento della ricerca in Europa per il periodo 2014 – 2020, ndr) ha messo in campo dei finanziamenti, ma non sono di facile accesso».
CHI CERTIFICA COSA
Il tema delle certificazioni è un altro tassello fondamentale dell’economia circolare. La società di certificazione Bureau Veritas Italia spa utilizza due strumenti operativi: il Remade in Italy e il Life cycle assesment (Lca). Il primo è una certificazione volontaria della percentuale di materiale riciclato presente nei prodotti, il secondo invece valuta l’impatto ambientale di un prodotto nel suo intero ciclo di vita, dalla culla alla tomba. «Le verifiche di conformità agli standard internazionali – ha sottolineato Monica Riva di Bureau veritas Italia – sono necessarie per uscire dall’autoreferenzialità».
Per ottenere la certificazione Remade in Italy il fabbricante deve garantire la tracciabilità dei flussi di materie nel processo produttivo relativo a prodotti con materiale riciclato, redigendo procedure che descrivano la composizione del prodotto, la qualifica dei fornitori, la verifica dei materiali in ingresso, la rintracciabilità del prodotto, le registrazioni e il bilancio di massa. «Lo strumento Lca – ha concluso Riva – mette insieme una moltitudine di informazioni semplici per capire come impatto sull’ambiente con i miei prodotti. Un’azienda che produce shampoo, per esempio, si deve concentrare sull’utilizzo del consumatore finale, perché è la fase in cui il prodotto impatta maggiormente sull’ambiente. È uno strumento utile per comunicare e ancor più utile per capire dove stiamo andando».
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