Quei laboratori cinesi che lavorano per la moda italiana
Era già emerso a Lonate due mesi fa: non falsi, ma prodotti originali, che poi finiscono in capi da centinaia di euro. Il nodo è il subappalto
Era già successo a dicembre scorso: fabbrichetta cinese a Lonate Pozzolo, lavoro nero e illeciti, ma prodotti originali. Vestiti (o meglio: componenti di vestiti) della moda italiana. Succede anche oggi, per i due laboratori a Samarate e Gallarate: «Non siamo in presenza di falsi, sono prodotti originali» spiega Fabio Mondora, dirigente del Commissariato cittadino, affiancato dal maresciallo Cannella del nucleo carabinieri presso l’Ispettorato del Lavoro.
Nelle due unità produttive le forze dell’ordine hanno trovato i marchi originali. Perché nei due laboratori si cucivano proprio i marchi, fisicamente, sopra pezze di tessuto che andranno poi a formare il capo finale.
Ma come è possibile? Il nodo è il subappalto, che impedisce di far risalire la responsabilità ai committenti. Tant’è vero che anche le forze dell’ordine sono costrette a mantenere il riserbo sui nomi. Nel caso dell’azienda di Gallarate e Samarate si parla di un subappalto di subappalto, che rende ancora più difficile provare legami.
Ma in ogni caso il vantaggio competitivo di laboratori a zero sicurezza e zero tutele è notevole. «Un sarto regolare costerebbe cento volte di più, come minimo», fa i conti chi si occupa di norme sul lavoro. Le pezzuole prodotte nel seminterrato di Gallarate costavano pochi centesimi, ma erano destinate a finire in abiti da centinaia di euro (se non migliaia). Il margine di guadagno – nei vari punto della filiera – diventa enorme.
La normativa italiana non prevede la completa tracciabilità, dunque non consente di estendere la responsabilità (neppure quella etica) ai committenti. Resta l’impegno delle forze dell’ordine, che dà comunque risultati concreti: tre laboratori smantellati nel giro di due mesi.
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