“Le case su Airbnb vanno considerate come normali affitti a scopo turistico”
Fabio Diaferia, presidente nazionale di Prolocatur, segue da vicinissimo da oltre due anni la materia degli Airbnb e li rappresenta nei confronti delle istituzioni e della politica
«Quasi tutti gli addebiti che vengono mossi nei confronti di chi affitta case su Airbnb gli sono in realtà attribuiti forzando le norme o sbagliando bersaglio perché, invece, bisognerebbe rivolgersi direttamente alla piattaforma».
Fabio Diaferia, presidente nazionale di Prolocatur, segue da vicinissimo da oltre due anni la materia degli Airbnb e li rappresenta nei confronti delle istituzioni e della politica.
«Quello di Airbnb è il caso classico in cui uno strumento digitale rivoluziona una realtà consolidata ma il suo funzionamento è semplice: sono dei normali contratti di locazione a breve periodo che si trovano su una piattaforma facilmente raggiungibile e consultabile da ogni parte del mondo».
Secondo Diaferia e chi si batte per difendere il sistema delle locazioni di breve periodo, Airbnb è solo uno dei portali da prendere in considerazione e tutti insieme costituiscono solo degli strumenti. Alla base non ci stanno, in molti casi, delle strutture ricettive ma dei semplici contratti d’affitto che come tali vanno considerati.
«La locazione turistica – spiega Diaferia – non è altro che una normale locazione in cui una delle parti ha interesse a godere di un alloggio in una località diversa da quella nella quale abitualmente vive e per questo è disposto a pagare un corrispettivo al locatore. Come per qualsiasi altro contratto, il motivo turistico che spinge una delle parti a stipulare il contratto di locazione è irrilevante per l’ordinamento giuridico e non influisce sulla disciplina applicabile. Alla locazione turistica, quindi, si applicano le norme del codice civile e quelle delle leggi speciali che regolamentano in generale la locazione degli immobili adibiti ad uso abitativo».
La distinzione è sostanziale perché chi affitta privatamente non è un imprenditore come nel caso di chi gestisce una struttura ricettiva, con le differenze che ne conseguono: in primis la tassazione. Chi affitta privatamente ha come unico vincolo fiscale la “cedolare secca”, un regime facoltativo che si sostanzia nel pagamento di un’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali.
Se questo è l’assunto i problemi per chi affitta arrivano nel momento in cui vanno definiti gli adempimenti: la comunicazione dei dati alla questura, la comunicazione dei dati sui flussi turistici a fini statistici, la comunicazione ai comuni e la tassa di soggiorno.
«Tra i passaggi obbligatori ci sono la comunicazione dei dati dei turisti alle questure e alla statistica di provincia e Regione – spiega Diaferia -. Noi siamo d’accordo su questi punti ma spesso, siccome siamo affittuari privati e non gestori di strutture ricettive, si fatica ad accedere alle piattaforme attraverso le quali vanno trasmesse le informazioni. Altro capitolo è la tassa di soggiorno che andrebbe chiesta direttamente alla piattaforma Airbnb»
Su tutti questi temi è in corso una “battaglia” a colpi di leggi e ricorsi: «vengono fatte leggi regionali e regolamenti che vanno in contrasto con la legge nazionale e siamo costretti a fare ricorsi per veder riconosciuti i diritti di chi affitta – spiega Diaferia. La realtà è che queste nuove forme di accoglienza rese possibili attraverso la tecnologia hanno ampliato enormemente la possibilità di scelta per i turisti e il turismo è una risorsa per il nostro paese. L’ampliamento dell’offerta non va combattuto, va incentivato».
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