Il “caporalato” corre lungo l’autostrada
Lo scenario anomalo che emerge dall'inchiesta di Polizia e Procura: dietro ai contratti in regola c'era una intermediazione che muoveva migliaia di euro. Il caso tocca un'azienda che ha un appalto enorme per le manutenzioni ordinarie sulla rete autostradale
Erano assunti in azienda, regolarmente. Ma gestivano altre assunzioni come fossero caporali, riprendendosi (di propria iniziativa) una parte delle retribuzioni per il loro ruolo di mediatori tra azienda e manodopera. Lavoro in regola, ma che nasconde nelle pieghe un reato. È lo scenario scoperto dagli investigatori del Commissariato di Gallarate, che per mesi hanno lavorato a ricostruire un sistema articolato e diffuso, nel senso che riguardava diversi lavoratori. Alla fine sono scattate le manette ai polsi di due cittadini del Bangladesh (i reati sono contestati – è bene dirlo – ai due dipendenti, non alla società)
50 e 25 anni, residenti a Gallarate, i due lavorano per la “filiale” locale di una delle più grandi imprese di lavori stradali d’Italia. Mica lavori da niente: l’azienda (con sede fuori Regione) lavora in particolare per Autostrade per l’Italia, con appalti su gran parte della rete nel Nord Italia, dagli sfalci al taglio piante, alla manutenzione dei guardrail. Il deposito locale, strategicamente a ridosso delle grandi infrastrutture nella zona Gallarate-Busto, impiega cento e passa persone. In larga parte stranieri, più disposti a lavori pesanti e con orari spesso notturni.
Agli operai i due “caporali” arrestati per estorsione chiedevano tra i trecento e i mille euro per la sola assunzione: condizioni diverse di volta in volta, emerse da una ventina di casi finiti all’esame di Polizia e Procura della Repubblica di Busto Arsizio. La “tassa” sull’assunzione può sembrare esigua: in fin dei conti in altri contesti – più o meno controllati dalla criminalità organizzata – il tributo da pagare oscilla tra tre e dieci stipendi. Tra gli operai stradali di base a Gallarate, però, le cose funzionavano in modo diverso, perché gli assunti si ritrovavano poi a dover pagare delle “trattenute” percentuali anche sui successivi stipendi, fino al 40%. Uno scenario quasi inedito, favorito probabilmente anche dall’appartenenza a comunità chiuse, dove molti non parlano che la lingua d’origine. Anche per questo non sono noti casi emersi spontaneamente o attraverso i sindacati, che hanno poca penetrazione nel settore (regolato, tra l’altro, con il contratto dei florovivaisti: piuttosto curioso considerando che si parla di lavori in autostrada).
Alla fine uno degli operai coinvolti si è ribellato ai suoi caporali: licenziato dall’azienda ha denunciato la cosa alla Polizia, lo scorso inverno. Gli investigatori del commissariato diretto da Fabio Mondora hanno lavorato per diversi mesi, cercando riscontri, anche attraverso le intercettazioni autorizzate dalla Procura (e che hanno avuto bisogno di attente traduzioni) e interrogatori: sono emersi circa venti casi di lavoratori taglieggiati dai colleghi. I versamenti di denaro avvenivano ovviamente in contanti, per non lasciare tracce evidenti del flusso di denaro. Sono ora in corso ulteriori accertamenti proprio sui flussi di denaro verso l’estero e all’interno dell’Italia: la sede locale è stata anche perquisita insieme all’Ispettorato del Lavoro, che sta ricostruendo il quadro esatto dei rapporti di lavoro in zona.
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