Maltrattamenti all’asilo nido, “L’educatrice era stressata”
La difesa ha chiesto e ottenuto un incidente probatorio per la donna accusata di aver lanciato ciabatte in faccia ai bimbi del nido privato “Imparare è un gioco”. Il legale: “Soffriva della sindrome da burnout”
La prova che, se dimostrata, potrebbe attenuare in caso di condanna la pena dell’educatrice accusata di maltrattamenti sui piccolissimi bimbi del nido privato di Gavirate si chiama “sindrome da burnout”.
Sarà alla fine di una serie di attenti esami psicologici – ma non solo – che i giudici avranno un elemento in più per comprendere come andarono i fatti in quella struttura nel centro storico della cittadina sul lago dove è maturata l’inchiesta dei carabinieri di Besozzo dopo alcune segnalazioni di genitori: «Indagate perché lì secondo noi succedono cose strane ai bimbi».
Da qui la posa delle microcamere e l’arresto avvenuto la scorsa primavera.
La donna è stata sottoposta alla misura cautelare degli arresti domiciliari, revocati quasi subito.
Ora la donna lavora, sebbene colpita da una misura interdittiva che le impone di stare alla larga da posti in cui viene impartita l’educazione ai bimbi in tenera età: non può operare in un asilo nido, insomma.
Ma intanto il percorso della giustizia procede. Per il momento la donna è indagata – e non ancora imputata – per l’ipotesi di reato contemplata dall’articolo 572 del codice penale che sanziona non solo i maltrattamenti familiari ma anche chi “maltratta” una persona “sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte” (pena: da due a sei anni, dice il Codice penale).
Il difensore, Antonio Battaglia, ha richiesto e ottenuto qualche giorno fa l’incidente probatorio: si tratta della “cristallizzazione” di un elemento di prova – che nel nostro ordinamento si ottiene durante il processo – prima del dibattimento, appunto ancora nella fase delle indagini preliminari.
L’istanza presentata dall’avvocato e accolta dal giudice per le indagini preliminari Giuseppe Fertitta consentirà di dare seguito ad un esame psicologico della donna, alla visione delle immagini riprese dalle microcamere poste dall’Arma e dall’acquisizione di documenti presentati dalla difesa, come alcune consulenze atte a dimostrare che la trentottenne soffriva della “sindrome da burnout”.
Si tratta di una patologia dovuta dallo stress che interessa “operatori e professionisti impegnati quotidianamente e ripetutamente in attività che implicano relazioni interpersonali” (wikipedia).
«Una condizione che produce comportamenti di distacco e indifferenza dall’attività lavorativa svolta – ha spiegato l’avvocato Battaglia . Elementi che sono emersi dal fatto che essa stessa, rivedendo quelle immagini delle telecamere nascoste, si è meravigliata del suo comportamento: è questo un altro profilo della patologia che rende inconsapevoli quanti ne sono affetti».
L’incidente probatorio è tuttora in corso e si attende l’esito, che avrà valore di prova in tutti gli eventuali gradi di giudizio.
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