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«Io non c’entro niente, la giustizia deve combaciare con la verità»
Gli amici e quattro passi per il caffè, e il rientro a casa prima di pranzo la prima giornata libera di Stefano Binda
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L’hanno visto in paese camminare appena dopo le nove. È uscito a piedi per un giro, un salto in piazza, un saluto alla vecchia amica di un esercizio pubblico del centro, e poi un caffè nel bar del paese, probabile una preghiera in chiesa.
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La giornata di Stefano Binda, la prima da uomo libero dopo tre anni e mezzo di custodia cautelare in carcere è cominciata di buon’ora a Brebbia, forse complice la bella giornata anche se caldissima, e sicuramente la voglia di godersi la libertà dopo tanto tempo passato dietro le sbarre.
Le carte del processo da studiare, come i libri, certo, e i nuovi amici nati dalla convivenza forzata servono.
Ma il tempo “al fresco” non passa mai e non te lo ridà indietro nessuno.
Allora, spiazzando i cronisti che fanno la posta fuori casa, ecco la mossa vincente che glissa i taccuini: uscire presto stare con la sua gente, gli amici di sempre come quelli di “Magre sponde”, l’associazione culturale che da sempre ha creduto alla sua innocenza.
Ma passate le 11 arriva il momento di rincasare e la figura di quest’uomo biondo, magro che avanza col sacchetto giallo del supermercato e una cartelletta lungo la via di casa appare all’orizzonte come un miraggio e come chiunque non abituato alle telecamere si schermisce ma poi cede circondato dai giornalisti.
Vogliono vedere, vogliono sapere: «Guardate, non sono abituato a tutto questo, scusate». Qualcuno gli chiede cosa succederà ora come proseguirà la sua vita. Lui riflette, tace, poi risponde quasi a non voler buttare al vento le parole, a misurarle, un fatto raro di questi tempi: «Potrebbe essere un nuovo inizio».
Ci sono parole anche per la famiglia Macchi: «Mi spiace. Capisco profondamente che avessero il bisogno di credere. Ma il diritto di avere giustizia non è quello di pretenderla. La giustizia si può ottenere solo con la verità. Io non c’entro niente».
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